Sono uno sbirro. Nel senso etimologico di “rosso” (birrus), come il colore del mantello che i sorveglianti dell’ordine pubblico indossavano nel medioevo. A Locri, Libera e Don Ciotti hanno organizzato una grande mobilitazione di vigilanza democratica, da contrapporre all’eversione mafiosa. In pubblico, mettendoci la faccia e alzando i volti di chi è morto, chiamando i loro nomi. Visibilità e parola pubblica, contro il rimanere dietro alle persiane, chiusi nella paura privata.
Siamo tutti sbirri significa siamo tutti impegnati ad osservare, capire, denunciare. Farsi i fatti propri è una cerimonia personale di adesione alle mafie, come bruciare il santino. La paura è il primo padrino a cui dobbiamo ribellarci. Perché chi ha paura ha già rinunciato alla propria libertà e non è più sensibile alle ingiustizie.
A Locri si è svolta una manifestazione politica, anzi di più, costituzionale. Perché la mafia è eversiva, mina la libertà degli uomini, in interi territori. Attacca la dignità delle persone. E’ su questo punto che dobbiamo vigilare, unirci, batterci. Ed essere tutti sbirri.
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