BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Sessant’anni fa

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Sessant’anni fa l’Italia era il Paese in cui,  sotto l’influsso  di  una Costituzione che alcuni anni dopo  Salvatore D’albergo,    costituzionalista di vaglia,   avrebbe qualificato “acapitalista”, si stava costruendo  un sistema di economia mista nel quale  aveva  un ruolo importante lo Stato, in particolare nella  funzione di Stato Imprenditore; era il Paese che     ad  un secolo dalla unificazione politica  si era     posto l’obiettivo  di unificare anche il proprio sistema economico,    superando   il dualismo  che si era andato formando appunto nel processo di unificazione; era il paese  dove  sarebbe esploso solo un anno dopo  il processo  di sviluppo che, pur con molte contraddizioni e sfasature,   lo avrebbe radicalmente trasformato. Si era alla vigilia di quello che  sarebbe stato denominato    miracolo economico.

Sessant’anni fa nell’Europa centrale  si andava strutturando   un sistema che sarebbe stato chiamato dell’economia sociale di mercato.

In quel contesto, proprio sessant’anni fa, sei paesi, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo  ed Italia, firmarono a Roma i trattati  istitutivi della Comunità Economica Europea e della Comunità Europea dell’Energia Atomica, che insieme a quello firmato qualche anno prima a Parigi  per l’istituzione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio  dettero inizio ad un processo mirante,   nelle speranze,      alla unificazione economica e poi a quella politica tra paesi  che per secoli  si erano combattuti con  guerre  che con lo sguardo di oggi chiameremmo   fratricide.

Nel 1995, quella che nel frattempo era diventata l’Unione Europea promosse    un atto che   dal nome  della città nella quale ne avvenne la firma si chiamò Dichiarazione di Barcellona.  Lo firmarono  tutti i paesi allora membri  dell’UE e   dodici paesi della sponda Sud del Mediterraneo: Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e Autorità Palestinese. Più tardi anche  la Libia venne invitata ma  quale paese osservatore.  Sembrò una svolta: si costituiva  un  Partenariato Euro Mediterraneo  nel quale i paesi extraeuropei non venivano posti  in posizione di subordinazione, ma  quali  “partner” in un quadro di rapporti multilaterali.  Non   che mancassero  incongruenze,  essendo previste Zone di Libero Scambio  dai cui esiti, riguardando  paesi a potenziale economico assai differente, non poteva escludersi l’aumento degli squilibri. Ma   veniva   affermato l’obiettivo di   fare del Mediterraneo un’<area di pace e di prosperità condivisa>  mediante l’unico modello possibile  tra economie molto diverse, il cosviluppo: cioè mediante  uno sviluppo basato sulla cooperazione e la valorizzazione delle complementarietà invece che  sulla competizione.

Dieci anni dopo, nel 2005, di tali buoni propositi non si trovarono tracce significative .Anzi si andava  determinando una radicale inversione di rotta della politica estera europea, una specie di “contro svolta” . Con l’ allargamento ad est dell’U.E era infatti nata la  Politica Europea di Vicinato

che al quadro dei rapporti multilaterali sostituiva una serie di accordi bilaterali, avendo il  fine non più di una prosperità condivisa ma semplicemente quello  di  costruire una fascia di protezione dell’Unione lungo i  suoi confini meridionali  – con l’Algeria,  l’ Egitto,   Israele,  la Giordania,   il Libano, la  Libia,  il Marocco, i Territori Palestinesi   Occupati, la  Siria,   le Tunisia – e quelli orientali  – con l’  Armenia, l’  Azerbaigian, la  Bielorussia, la Georgia, la Moldavia,  l’Ucraina.

Tramontava   così  il Partenariato Euro Mediterraneo,  scompariva  ogni ptoposito  di una politica di cosviluppo che per altro non era mai effettivamente  entrata nelle  agende politiche. Nel contempo   l’Unione Europea abbandonava il modello di economia mista e quello di economia sociale di mercato ed abbracciava la “globalizzazione”, anzi se ne  lasciava abbracciare.

Le conseguenze di questo modello di economia, che alcuni economisti avevano intravisto sin dai suoi albori, oggi si vedono tutte: lo “sganciamento” del Meridione d’Italia, la crescita imponente delle diseguaglianze, l’aumento delle vecchie povertà cui se ne  accompagnano  di nuove e consistenti, la nascita di localismi. Il Bacino del Mediterraneo, lungi dall’essere divenuto  un’area di pace e di prosperità  condivisa, si presenta come zona di   transito di flussi di disperazione provenienti da paesi dell’Asia e dell’Africa, che non  sempre riescono ad approdare in terra ferma;  il Medio Oriente è  allo stesso tempo  teatro del confronto di potenze regionali, ciascuna tendente ad affermarsi a scapito delle altre, e   terreno di scontro   per interposte bande armate  tra l’imperialismo statunitense e ciò che resta di quello russo;  il conflitto asimmetrico tra lo Stato di Israele ed il Popolo Palestinese pressoché inerme è sommerso dal clamore delle atrocità che avvengono in Siria e, per opera delle varie esasperazioni del fondamentalismo islamico, anche  altrove.

Questo lo scenario   nel quale verrà  a giorni celebrato a Roma l’anniversario della firma dei  due trattati che sessant’anni fa  avevano animato tante speranze.

L’unica di quelle speranze realizzatasi – ed ovviamente non è cosa da poco – è che non si sono più avute guerre intestine dopo gli eccidi della guerra del ’39-45. Ma né quel che ci si aspettava sul piano dell’economia, né quanto era atteso sul piano dell’unificazione politica è alle viste. Parlare di crisi  non è azzardato e comunque  non si può negare che al posto dell’Europa dei Popoli che ci si aspettava ci troviamo di fronte ad un’Europa  succube di potentati economici  e finanziari dai quali sarebbe urgente salvarla.

E’ di questo che il 23 e 24marzo  si discuterà a Roma tra chi non intende rinunciare alla prospettiva di un’’Europa    che riesca non solo a salvaguardare la pace all’interno ma  anche   a crearne le condizioni   fuori i suoi confini e   realizzi quel sistema di sicurezza sociale e di giustizia per il quale  a partire dalle Resistenze contro il nazifascismo  in tutti i paesi europei si è lottato e si lotta ancora. Due giornate di  dibattiti     sotto la denominazione “La Nostra Europa” si svolgeranno in aule di varie Facoltà dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, promossi  da una coalizione di organizzazioni, sindacati, movimenti di tutta Europa; ad essi  parteciperanno cittadini e cittadine provenienti da tutti i paesi europei    per  costruire il rilancio degli ideali europei, per proporre un cambio di passo e di prospettiva delle politiche europee per  impattare le incombenti derive di destra che si stanno sviluppando come sempre accade nei momenti di crisi  e dai quali  bisogna guardarsi con avvedutezza e determinazione.

Tra questi dibattiti ve ne sarà uno dedicato alla Palestina il giorno 23. Organizzato da un gruppo di associazioni italiane in risposta   all’Appello lanciato  dal Coordinamento Europeo per la Palestina  con il titolo “Giustizia per la Palestina. Adesso basta con la complicità europea!”, sarà un confronto a più voci tra associazioni/movimenti italiani ed europei,  parlamentari italiani ed europei , rappresentanti palestinese e israeliani sulla attuale situazione in Palestina e Israele e sulle responsabilità dell’Europa che non si decide  ad intervenire con fermezza per indurre Israele al rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale .

Questo dibattito vuole essere in primo luogo un atto di giustizia verso un Popolo oppresso  da una dura occupazione che dura da cinquant’anni. Ma vuole anche segnalare che il superamento del conflitto israelo-palestinese con una pace che assicuri i diritti e la libertà del Popolo Palestinese, anche se sinora le istituzioni europee non hanno mostrato di comprenderlo, è di interesse vitale per l’Europa, perché quel conflitto  è   fattore di destabilizzazione di tutto il Medio Oriente, la cui instabilità costituisce a propria volta  una minaccia persistente  alla pace proprio a ridosso del  confine sud dell’Europa.
Il  Bacino del Mediterraneo non è divenuto un’area di pace e prosperità condivisa. Almeno  non diventi un’area di guerra!

*della Rete Romana di Solidarietà con il  Popolo Palestinese.


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