Sessant’anni fa l’Italia era il Paese in cui, sotto l’influsso di una Costituzione che alcuni anni dopo Salvatore D’albergo, costituzionalista di vaglia, avrebbe qualificato “acapitalista”, si stava costruendo un sistema di economia mista nel quale aveva un ruolo importante lo Stato, in particolare nella funzione di Stato Imprenditore; era il Paese che ad un secolo dalla unificazione politica si era posto l’obiettivo di unificare anche il proprio sistema economico, superando il dualismo che si era andato formando appunto nel processo di unificazione; era il paese dove sarebbe esploso solo un anno dopo il processo di sviluppo che, pur con molte contraddizioni e sfasature, lo avrebbe radicalmente trasformato. Si era alla vigilia di quello che sarebbe stato denominato miracolo economico.
Sessant’anni fa nell’Europa centrale si andava strutturando un sistema che sarebbe stato chiamato dell’economia sociale di mercato.
In quel contesto, proprio sessant’anni fa, sei paesi, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo ed Italia, firmarono a Roma i trattati istitutivi della Comunità Economica Europea e della Comunità Europea dell’Energia Atomica, che insieme a quello firmato qualche anno prima a Parigi per l’istituzione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio dettero inizio ad un processo mirante, nelle speranze, alla unificazione economica e poi a quella politica tra paesi che per secoli si erano combattuti con guerre che con lo sguardo di oggi chiameremmo fratricide.
Nel 1995, quella che nel frattempo era diventata l’Unione Europea promosse un atto che dal nome della città nella quale ne avvenne la firma si chiamò Dichiarazione di Barcellona. Lo firmarono tutti i paesi allora membri dell’UE e dodici paesi della sponda Sud del Mediterraneo: Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e Autorità Palestinese. Più tardi anche la Libia venne invitata ma quale paese osservatore. Sembrò una svolta: si costituiva un Partenariato Euro Mediterraneo nel quale i paesi extraeuropei non venivano posti in posizione di subordinazione, ma quali “partner” in un quadro di rapporti multilaterali. Non che mancassero incongruenze, essendo previste Zone di Libero Scambio dai cui esiti, riguardando paesi a potenziale economico assai differente, non poteva escludersi l’aumento degli squilibri. Ma veniva affermato l’obiettivo di fare del Mediterraneo un’<area di pace e di prosperità condivisa> mediante l’unico modello possibile tra economie molto diverse, il cosviluppo: cioè mediante uno sviluppo basato sulla cooperazione e la valorizzazione delle complementarietà invece che sulla competizione.
Dieci anni dopo, nel 2005, di tali buoni propositi non si trovarono tracce significative .Anzi si andava determinando una radicale inversione di rotta della politica estera europea, una specie di “contro svolta” . Con l’ allargamento ad est dell’U.E era infatti nata la Politica Europea di Vicinato
che al quadro dei rapporti multilaterali sostituiva una serie di accordi bilaterali, avendo il fine non più di una prosperità condivisa ma semplicemente quello di costruire una fascia di protezione dell’Unione lungo i suoi confini meridionali – con l’Algeria, l’ Egitto, Israele, la Giordania, il Libano, la Libia, il Marocco, i Territori Palestinesi Occupati, la Siria, le Tunisia – e quelli orientali – con l’ Armenia, l’ Azerbaigian, la Bielorussia, la Georgia, la Moldavia, l’Ucraina.
Tramontava così il Partenariato Euro Mediterraneo, scompariva ogni ptoposito di una politica di cosviluppo che per altro non era mai effettivamente entrata nelle agende politiche. Nel contempo l’Unione Europea abbandonava il modello di economia mista e quello di economia sociale di mercato ed abbracciava la “globalizzazione”, anzi se ne lasciava abbracciare.
Le conseguenze di questo modello di economia, che alcuni economisti avevano intravisto sin dai suoi albori, oggi si vedono tutte: lo “sganciamento” del Meridione d’Italia, la crescita imponente delle diseguaglianze, l’aumento delle vecchie povertà cui se ne accompagnano di nuove e consistenti, la nascita di localismi. Il Bacino del Mediterraneo, lungi dall’essere divenuto un’area di pace e di prosperità condivisa, si presenta come zona di transito di flussi di disperazione provenienti da paesi dell’Asia e dell’Africa, che non sempre riescono ad approdare in terra ferma; il Medio Oriente è allo stesso tempo teatro del confronto di potenze regionali, ciascuna tendente ad affermarsi a scapito delle altre, e terreno di scontro per interposte bande armate tra l’imperialismo statunitense e ciò che resta di quello russo; il conflitto asimmetrico tra lo Stato di Israele ed il Popolo Palestinese pressoché inerme è sommerso dal clamore delle atrocità che avvengono in Siria e, per opera delle varie esasperazioni del fondamentalismo islamico, anche altrove.
Questo lo scenario nel quale verrà a giorni celebrato a Roma l’anniversario della firma dei due trattati che sessant’anni fa avevano animato tante speranze.
L’unica di quelle speranze realizzatasi – ed ovviamente non è cosa da poco – è che non si sono più avute guerre intestine dopo gli eccidi della guerra del ’39-45. Ma né quel che ci si aspettava sul piano dell’economia, né quanto era atteso sul piano dell’unificazione politica è alle viste. Parlare di crisi non è azzardato e comunque non si può negare che al posto dell’Europa dei Popoli che ci si aspettava ci troviamo di fronte ad un’Europa succube di potentati economici e finanziari dai quali sarebbe urgente salvarla.
E’ di questo che il 23 e 24marzo si discuterà a Roma tra chi non intende rinunciare alla prospettiva di un’’Europa che riesca non solo a salvaguardare la pace all’interno ma anche a crearne le condizioni fuori i suoi confini e realizzi quel sistema di sicurezza sociale e di giustizia per il quale a partire dalle Resistenze contro il nazifascismo in tutti i paesi europei si è lottato e si lotta ancora. Due giornate di dibattiti sotto la denominazione “La Nostra Europa” si svolgeranno in aule di varie Facoltà dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, promossi da una coalizione di organizzazioni, sindacati, movimenti di tutta Europa; ad essi parteciperanno cittadini e cittadine provenienti da tutti i paesi europei per costruire il rilancio degli ideali europei, per proporre un cambio di passo e di prospettiva delle politiche europee per impattare le incombenti derive di destra che si stanno sviluppando come sempre accade nei momenti di crisi e dai quali bisogna guardarsi con avvedutezza e determinazione.
Tra questi dibattiti ve ne sarà uno dedicato alla Palestina il giorno 23. Organizzato da un gruppo di associazioni italiane in risposta all’Appello lanciato dal Coordinamento Europeo per la Palestina con il titolo “Giustizia per la Palestina. Adesso basta con la complicità europea!”, sarà un confronto a più voci tra associazioni/movimenti italiani ed europei, parlamentari italiani ed europei , rappresentanti palestinese e israeliani sulla attuale situazione in Palestina e Israele e sulle responsabilità dell’Europa che non si decide ad intervenire con fermezza per indurre Israele al rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale .
Questo dibattito vuole essere in primo luogo un atto di giustizia verso un Popolo oppresso da una dura occupazione che dura da cinquant’anni. Ma vuole anche segnalare che il superamento del conflitto israelo-palestinese con una pace che assicuri i diritti e la libertà del Popolo Palestinese, anche se sinora le istituzioni europee non hanno mostrato di comprenderlo, è di interesse vitale per l’Europa, perché quel conflitto è fattore di destabilizzazione di tutto il Medio Oriente, la cui instabilità costituisce a propria volta una minaccia persistente alla pace proprio a ridosso del confine sud dell’Europa.
Il Bacino del Mediterraneo non è divenuto un’area di pace e prosperità condivisa. Almeno non diventi un’area di guerra!
*della Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese.