Ambasciatore Lewis M. Eisenberg,
le scrivo perché sento odore di un nuovo Vietnam.
Le dichiarazioni del suo Presidente Trump contro precisi stati islamici e l’enorme stanziamento per potenziare le armamentario degli Usa sono indizi di uno stato che si prepara a scatenare una guerra. E’ questo il significato dello slogan L’America di nuovo grande? La mia preoccupazione è confermata anche dal fatto che spesso i dittatori usano alzare le tensioni esterne per ricompattare la popolazione dubbiosa sulle scelte del loro governo, nel nome della suprema emergenza collettiva. Tanto più se – come è il caso degli Usa – il paese si sente militarmente forte.
Perché annoiarsi con faticosi trattati, se si può risolvere tutto con rapidi bombardamenti, sembra chiedersi Trump marcando la differenza con Obama. E’ un po’ lo stesso ragionamento del bullo della scuola, che non sa, né impara a discutere con chi lo critica, perché fa molto prima a tirargli un pugno sul naso e a godersi lo stupore dei compagni.
Ambasciatore Lewis M. Eisenberg,
il Presidente Trump va aiutato a capire che un conflitto armato – per esempio contro l’Iran o altre “prede facili”, come facile sembrava il Vietnam – può rivelarsi un disastro per gli equilibri globali e per le sofferenze domestiche, che pagherà il popolo americano. Già nel suo ultimo discorso, Trump ha dovuto chiedere un applauso alla prima vedova in nero, che le sue “azioni” hanno creato. Per l’amicizia che mi lega – come molti cittadini italiani – al popolo americano, le chiedo di riflettere sui rischi che gli Usa stanno correndo. E influire sul suo governo per un ripensamento delle posizioni più aggressive. La sbronza del nazionalismo rende litigiosi. Ma il ragazzone della scuola che picchiava tutti, poi è rimasto solo.
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