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Russia, anche due giornalisti tra gli arrestati. Navalny condannato a 15 giorni di carcere

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Tra le centinaia di persone fermate a Mosca durante la manifestazione contro la corruzione di domenica scorsa, organizzata dal più autorevole oppositore di Vladimir Putin, Alexei Navalny, ci sono almeno due giornalisti, Aleksandr Plushchev e Alec Luhn.
A darne notizia il presidente dell’Unione della stampa moscovita, Pavel Gusev, che il giorno stesso delle proteste aveva denunciato come la polizia avesse violato il diritto costituzionale dei giornalisti a raccogliere informazioni e a raccontare quanto stesse avvenendo.
“L’Unione dei giornalisti russi – ha dichiarato provocatoriamente Gusev – ha un accordo con il dipartimento di polizia per gli accrediti speciali degli operatori dell’informazione che coprono eventi pubblici. I nuovi capi del dipartimento di pubblica sicurezza cittadino o non ne sono a conoscenza o lo hanno ignorato per una qualche ragione”.
O forse, aggiungiamo noi, anche i nostri colleghi sono stati considerati “provocatori e bugiardi”, come il Cremlino ha apostrofato i promotori della manifestazione nei confronti dei quali ha deciso di opporre la linea dura sia durante le dimostrazioni che all’indomani delle stesse con oltre un migliaio di arresti in tutto il Paese.
Primo fra tutti a subire l’ira di Putin, il leader delle contestazioni Navalny, condannato dal tribunale di Mosca a 15 giorni di carcere e a una multa di 20 mila rubli.
I cortei organizzati domenica a Mosca e in molte altre città russe hanno visto la partecipazione di migliaia di persone, più di quante fossero attese.
Forse è per questo che le dichiarazioni del portavoce del presidente sono state particolarmente velenose. Dimitri Peskov ha accusato Navalny di avere “palesemente mentito” quando ha affermato che si trattava di manifestazioni “legali” e ha aggiunto che gli organizzatori delle proteste hanno coinvolto dei minorenni promettendogli ricompense economiche.
Accuse rinviate al mittente dal 40enne blogger ‘anti-Putin’ comparso più battagliero che mai davanti alla Corte dopo aver trascorso la notte in carcere e aver twittato un selfie dagli uffici giudiziari scrivendo “verrà il giorno in cui noi giudicheremo loro, ma quel giorno lo faremo in maniera onesta”.
Unanime la condanna nei confronti di queste nuove repressioni da parte della comunità internazionale, quanto meno dal blocco occidentale, dagli Stati Uniti, all’Unione Europea.
Tutti hanno chiesto al Cremlino la liberazione di Navalny e dei manifestanti che avevano protestato pacificamente.
L’Ue, attraverso l’Alto rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini, ha manifestato preoccupazione per le operazioni di polizia, con cariche e arresti, che hanno impedito ai cittadini di esercitare “le loro libertà fondamentali, tra cui quella di espressione, di associazione e di riunione pacifica” come previsto dalla Costituzione russa.
La mobilitazione del 26 marzo, promossa da Navalny, è cresciuta grazie al passa parola su internet.
Lo scomodo oppositore di Putin lo scorso febbraio si è candidato alla presidenza, tenendo comizi e iniziative da San Pietroburgo, a Vladivostok, da Krasnoyarsk a Tomsk.
Da quando Navalny, che per professione fa l’avvocato, ha annunciato la sua candidatura alle presidenziali del 2018, ha inoltre aperto sedi elettorali in varie città suscitando l’irritazione del Cremlino che sta tentando in ogni modo di impedirgli di correre alla guida della Russia.
Non è infatti escluso che possa essere privato della possibilità di candidarsi se il ricorso contro la sentenza che lo ha condannato per appropriazione indebita in un controverso processo, basato su accuse false, fosse respinto.
Secondo Navalny, considerato l’oppositore di Putin con maggiore seguito, la condanna è una rappresaglia per le sue denunce di corruzione verso le più alte sfere del Paese.
Un modo ‘legale’ e facile per eliminarlo dalla sfida elettorale.


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