Il rapporto Unicef della serie Child Alert intitolato “Un viaggio fatale per i bambini: la rotta migratoria del Mediterraneo centrale”, stilato in base ai dati raccolti lungo tutto il 2016, parla chiaro: «i bambini e le donne rifugiati e migranti subiscono regolarmente violenza sessuale, sfruttamento, abuso e detenzione lungo la rotta del mar Mediterraneo, dal Nord Africa all’Italia». Tre quarti dei bambini rifugiati o migranti coinvolti nell’indagine ha dichiarato di aver subito «violenze, molestie o aggressioni per mano di adulti durante il tragitto», mentre all’incirca metà delle donne e dei bambini hanno subito «abusi sessuali durante la migrazione – spesso più volte e in diversi punti lungo il viaggio». Molto frequenti sono anche gli abusi verbali e psicologici, le percosse o altre forme di violenza fisica. Gli abusi più frequenti risultano fra le ragazze.
«Occorrono vie e piani di sicurezza sicuri e legali per proteggere i bambini migranti, per tenerli al sicuro», afferma Afshan Khan, direttrice dell’Unicef per l’Europa e Coordinatrice speciale per la crisi dei minori migranti e rifugiati nel continente. Una rotta, quella tra il Nord Africa e l’Europa, «in cui muoiono più persone», controllata per la gran parte «dai trafficanti e da altri individui che vedono come prede i bambini e le donne disperati che sono semplicemente alla ricerca di un rifugio o di una vita migliore».
L’Unicef ha chiesto ai governi nazionali e all’Unione Europea l’adozione di misure necessarie e improrogabili, riassumibili in sei punti:
- Proteggere i bambini rifugiati e migranti, in particolar modo quelli non accompagnati, da sfruttamento e violenza.
- Porre fine alla detenzione dei minorenni richiedenti lo status di rifugiato o migranti, introducendo una serie di alternative praticabili.
- Mantenere unite le famiglie, miglior misura per tutelare i bambini e garantire che sia riconosciuto loro uno status giuridico.
- Consentire ai minori rifugiati e migranti di studiare e assicurare loro l’accesso a servizi sanitari e sociali di qualità.
- Intervenire sulle cause che producono i movimenti di massa di migranti e rifugiati.
- Promuovere misure contro xenofobia, discriminazione ed emarginazione dei bambini migranti e rifugiati, nei paesi in transito e in quelli di destinazione.
Azioni indispensabili per porre rimedio a situazioni strazianti, indescrivibili, ingiuste perché «nessun bambino dovrebbe mai essere costretto a mettere la sua vita nelle mani dei trafficanti semplicemente perché non ha alternative».
Per i governi e l’Unione Europea invece la soluzione sembra essere l’accordo di chiusura della rotta Libia-Italia. Il 2 febbraio scorso è stato firmato, dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e dal presidente del “governo riconosciuto dalla comunità internazionale” Fayez al Sarraj, l’accordo che ha come obiettivo l’incarico affidato per la Libia di «impedire gli arrivi e le partenze di migranti e richiedenti asilo provenienti dai paesi dell’Africa sub-sahariana». Se anche il governo libico riuscisse a mettere in atto misure valide di ostacolo al transito dei migranti e dei rifugiati siamo certi che questa sarebbe una soluzione valida e a lungo termine? Non si profila il rischio che chiudendo questo canale di transito se ne cerchi subito un altro? Non è forse lecito pensare che giocare al gatto col topo con i trafficanti li renda solo più rabbiosi e violenti? A farne le spese non saranno sempre gli stessi “disperati” che altra scelta non hanno?
In considerazione del fatto che la Libia è un Paese che non riconosce lo status giuridico di rifugiato, è presumibile pensare che i migranti e i rifugiati intercettati saranno imprigionati e forse destinati a subire abusi e torture di cui narrano i soggetti del report dell’Unicef. Lo scorso anno sono sbarcate in Italia 180mila persone che le labirintiche leggi europee non sono riuscite a ricollocare tra i vari stati membri. I numeri sono grandi è innegabile ma bisogna ricordare sempre che si parla di esseri umani, di uomini, di donne, di bambini… di persone che hanno, che devono avere il diritto di trovare in rifugio sicuro. E se si ritiene improponibile la migrazione continua si operi almeno per evitare la distruzione della loro patria di origine, da cui, e questo è sempre doveroso ricordarlo, fuggono per mancanza di alternative non per puro diletto.