Diciamo che è davvero difficile apprezzare il mondo senza Lucio Dalla. E diciamo anche che quando ci lasciò, cinque anni fa, all’età di sessantotto anni, molti di noi si interrogarono sul profilo, sulla biografia e sulla grandezza morale e artistica di uno dei cantautori più amati e, al tempo stesso, meno compresi del nostro panorama musicale.
Perché Dalla piaceva e aveva successo, per carità, ma la sua grandezza, la sua originalità e la profondità dei suoi messaggi le abbiamo capite solo quando, da un giorno all’altro, ci siamo ritrovati orfani di questa sorta di padre comune, di questo bolognese verace, un po’ guascone, simpaticissimo e innamorato come pochi della vita e dei suoi valori.
Abbiamo perso Lucio e con lui il suo stile inconfondibile ed il suo appartenere ad una stagione che oggi sembra essere definitivamente tramontata: quella in cui rispettare il prossimo non costava fatica, quella in cui tendere la mano ai più deboli era considerato un fatto nobile, quella in cui ci si poteva persino innamorare dei barboni di Piazza Grande, dedicare loro una canzone memorabile ed essere considerati dei galantuomini e non dei poveri illusi senza un domani.
Abbiamo perso Lucio pochi giorni dopo la sua ultima apparizione a Sanremo, dove non metteva piede dai giorni del tragico festival durante il quale morì Luigi Tenco, e abbiamo avuto la conferma della sua omosessualità mai ostentata e, proprio per questo, ricca di un amore puro, autentico, sincero, vissuta con la bellezza interiore, la sensibilità, il garbo e diremmo quasi la spiritualità di cui solo lui era capace.
E ora che non c’è più, ora che sono cinque anni che ci domandiamo verso quali orizzonti sconfinati si sia diretta la sua anima, ora che ci rimangono solo i componimenti e i filmati d’epoca di quest’uomo che ha sempre saputo vivere il successo con il dovuto distacco e il benessere economico con un’ammirevole generosità, ora possiamo solo riascoltare i suoi capolavori e renderci conto che le lacrime sono impossibili da tenere a freno.
Perché il Dalla dissacrante che partì con De Gregori per un tour dal titolo esplicito come “Banana Republic” era lo stesso che poteva commuoversi per un’onda o per un cielo limpido: un intellettuale a tutto tondo, completo, in grado di intendere la musica come una prosecuzione dell’anima con altri mezzi e di esprimere tutta la sua meraviglia interiore attraverso testi scanzonati, ironici eppure, a tratti, strazianti, dotati di una forza espressiva che lascia davvero senza parole.
Ecco, le parole: diciamo che Dalla era un cesellatore di suoni e di versi, un uomo che intagliava le proprie canzoni, che le viveva dentro di sé prima di condividerle con gli altri, che imprimeva un ritmo vitale alla propria arte e che riusciva a creare un’empatia speciale e forse irripetibile con un pubblico che, mai come nel suo caso, era anche e soprattutto un popolo.
Se ne è andato all’improvviso il 1° marzo del 2012 e il mondo, senza di lui, ci è sembrato sin dal primo momento più solo e più triste, più fragile e privo di un cantore in grado di analizzarne e raccontarne con maestria le molteplici sfaccettature, di accarezzarlo e di sorridergli, di sferzarlo e di innamorarsene nuovamente pochi istanti dopo.
Ciao Lucio, ovunque tu sia.