Antonio Salines, dal Quirino in poi, affronta senza difetti di emulazione l’edizione scenica del film di Chaplin
E’ un dato di fatto: che il cinema, per almeno due terzi della sua Storia- e impellenti necessità di produzione (fattesi rifrangenze reciproche di linguaggio, di espressione creativa) – abbia fatto, e continui a fare ricorso, a ogni genere di spunto letterario, raffigurativo, teatrale (Méliès fu il primo). Universi paralleli in necessaria osmosi e ricerca perfettibile di vasi comunicanti. Rapporti comunque biunivochi, espansivi, senza barriere (se non i ‘diritti d’autore’), avendo a sua volta il cinema irrorato in più occasioni la trasfigurazione della pagina scritta (da “Il giorno della locusta” in poi, e soffermandoci almeno ai racconti di Scott Fitzgerald, alla sue mai smaltite ‘età del jazz’, ai romanzi crudi, basilari e pullulanti delle nere Dalie di Hollywood’ di Ellroy.
E, a far data- grosso modo- dalla fine anni settanta e dall’inizio degli ottanta (con due spettacoli ‘battesimali’ impressi nella memoria personale: “Lumière Cinèmatographique” di Sepe e “Una giornata particolare” dal film di Scola con gli esemplari Giovanna Ralli e Giancarlo Sbragia) anche in ambito teatrale, con una miriade di “trasfusioni” più o meno compiute, convincenti, riuscite di cui questo mestiere ci ha permesso di scovare, commentare, almanaccare. Lo scorso anno, se ben ricordo, a primeggiare furono “Il grande dittatore” nell’adattamento ingegnoso e paraespressionista di Massimo Venturiello ed il ritorno di Silvio Orlando a “La scuola” di Daniele Luchetti, a sua volta desunto dalla trilogia didattico-autobiografica di Domenico Starnone (ne andò in onda, mesi fa, anche una ‘attendibile’ ripresa televisiva su Rai5).
Mentre quest’anno la staffetta passa, per quanto ci riguarda, al caro e stimato Antonio Salines, che “màcina”, dalla scorsa fine di gennaio (dal Quirino di Roma al Delle Palme di Napoli), il ruolo, ambìto e complesso, del clawn Calvero, protagonista dal chapliniano “Luci della ribalta”, ben consapevole e corazzato rispetto ai rischi di confronto, emulazione, ‘facile’ sentimentalismo poetico che lo rimbalzano, senza rete di protezione, al calco originale del sommo Charlie (film del 1953) – a suo fianco, come ombra impercettibile ma (potenzialmente) pronta a ghermire, per tutto l’arco dell’allestimento. E la cui ‘linea’ l’esperto attore italiano si guarda bene dal varcare.
Lavorando per “sottrazione, bisturi e bulino”, direi che Salines usa ferri e tecniche di un talento\mestiere (aduso più a interiorizzare che esibire, più ad ‘implodere’ che schizzare da istrione) che, con equilibrio drammaturgico, si estende e prova a ariscattare la dolente intimità non solo dell’anziano, indigente ‘entreneur’ (che del viale del tramonto è quasi alla fine) ma dei vari personaggi-comprimari: artefici di emozioni asciutte, rassodate, mai lacrimevoli, distribuiti per grumi e monadi di dolore, ‘eccezionalmente’ dialoganti, capaci di sinergia e umana combutta contro i morsi della vita ostile (specie se la filigrana dell’osservazione sosta dietro le quinte dell’effimero ‘piacere di darsi al pubblico’) Mimica, tonalità vocali, esitazioni comportamentali, piccole escrescenze di senile vitalismo sono- per Salines- ulteriore opportunità di auto- disegnarsi come una sorta di ‘edicola teatrale’, quasi a prescindere dalla pur nitida, funzionale regia di Giuseppe Emiliani. Sicchè, come nota più di un collega “ecco un Calvero in grado di esistere anche se non fosse mai esistito Chaplin”.
Creatura melanconica ma non crepuscolare, disincantata ma non disdegnosa, disingannata ma ancora capace di un amore (verso la giovane Terry, la ballerina salvata dal suicidio e riconsegnata una più degna esistenza) che già ben conosce, e mette in conto, “le ragioni dell’intelletto”. Con amarezza, come per ‘amputazione’ del suo stesso respiro, ma indefettibile e intransigente rispetto ai diritti e doveri segnati dalla propria e dalla altrui dignità. Ciò che resta è poi uno spettacolo di atmosfere erratiche, disadorne, ‘senza fisse dimore’: evocativo, divulgativo, ‘di buon servizio’ (alla memoria dei cinefili che si degnano di andare a teatro), espletato da Emiliani senza quel che in gergo definiamo “una idea forte di messinscena” – probabilmente per evitare ogni competizione, impari confronto, quindi aggirare (con la discrezione dell’adattamento firmato da Eleonora Zicchi) il timore reverenziale verso l’orma di Chaplin.
Coeso e pertinente (così ci è parso) il cast della rappresentazione, composto da Marianella Bargilli, Luigi Biava, Riccardo De Francesca, Lino Spadaro, Orazio Stracuzzi. E menzione speciale per i preziosi cammei della energica evergreen Renata Zamengo e di Segio Bini (mago Bustric) che conoscerà, a menadito, vita morte e miracoli di un certo Buster Keaton.
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“Luci della ribalta” da Charlie Chaplin
Regia: Giuseppe Emiliani, Adattamento teatrale di Eleonora Zicchi
scene di Federico Cautero, costumi di Chiara Aversano, musiche di Roberto Fia Compagnia/Produzione: La Contrada – Teatro Stabile di Trieste
Interpreti principali: Antonio Salines, Marianella Bargilli, Sergio Bini, Renata Zamengo.
-Roma Teatro Quirino – Napoli Teatro delle Palme