Con lo stato d’animo sconfortato e pieno di rabbia, ho finito di leggere la relazione Direzione Investigativa Antimafia sui risultati conseguiti nella lotta alle mafie nel primo semestre del 2016, presentata in Parlamento dal Ministro dell’Interno agli inizi di quest’anno.
La mappatura delle famiglie mafiose, delle cosche, dei clan, dei vari gruppi criminali (anche stranieri), disegnata meticolosamente nella relazione, è angosciante perché mostra chiaramente come intere città e territori provinciali di Sicilia, Calabria, Campania, Puglia, Basilicata, siano sostanzialmente sotto l’influenza criminale e il controllo affaristico di quelle organizzazioni. Se poi alle cinque regioni indicate aggiungiamo i tanti altri “frammenti territoriali” delle altre regioni del Centro-nord Italia dove si sono insediati esponenti e cellule di tali formazioni mafiose, la relazione prospetta una situazione drammaticamente seria per la tenuta democratica del nostro paese. Le proiezioni internazionali, infine , di mafie e mafiette nel mondo sono l’ulteriore conferma della apertura di “valvole di compensazione” in territori lontani, dove è anche più agevole riciclare denaro sporco, inquinare altre economie, esercitare controlli anche all’estero.
Controlli che, come accennavamo, sono già asfissianti in molte città del sud.
In Sicilia, per esempio, la singola famiglia, la cui egemonia si esercita su un territorio corrispondente ad un centro abitato o a una zona metropolitana (uno o più quartieri), è sempre l’unità base dell’organizzazione. Il “mandamento” è formato dall’insieme di tre o quattro famiglie il cui territorio è contiguo. Così, a Palermo, sono censiti otto mandamenti e trentadue famiglie (da quella di Borgo Vecchio, a Palermo Centro, a Porta Nuova, alla Kalsa, a San Lorenzo, a Pallavicino Zen, solo per citarne alcune). La provincia di Palermo è invece “affidata” al “governo” di 47 famiglie distribuite in sette mandamenti. La stessa articolazione troviamo ad Agrigento con sei mandamenti e 32 famiglie (in otto Comuni sono presenti altrettanti sodalizi della Stidda), a Trapani con 4 mandamenti e 17 famiglie, a Caltanisetta con 16 famiglie e 4 mandamenti (anche qui un’area è della Stidda). Altre 45 famiglie sono distribuite nelle restanti città siciliane di Catania (15), Enna, (5), Siracusa (7), Ragusa (4), e Messina (14), per un totale, nell’isola, di 179 famiglie. I settori maggiormente interessati da tutte le consorterie criminali sono quelli legati all’edilizia, ai trasporti, all’agroalimentare, alle estorsioni, all’usura, alle scommesse clandestine (spesso praticate utilizzando reti informatiche e società estere) e, naturalmente, al traffico degli stupefacenti ( dove si registra una forte collaborazione con la ‘ndrangheta) che resta quello maggiormente redditizio. Il dinamismo della mafia siciliana l’ha proiettata in Piemonte e Valle d’Aosta, in Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lazio, Marche, Sardegna; all’estero la sua presenza è segnalata in Germania, Spagna, Malta, Olanda, Usa, Canada, Repubblica Sudafricana.
La mafia calabrese non è da meno rispetto a quella siciliana. Anche qui la famiglia (‘ndrina)costituisce la cellula di base del modello ‘ndranghetista e più ‘ndrine formano la locale. Tre mandamenti caratterizzano la città di Reggio Calabria, con un direttorio, sovraordinato alle altre tredici famiglie, rappresentato dai Di Stefano, Condello, Libri e Tegano. Sul versante Tirrenico operano una ventina di ‘ndrine, facenti capo a Bellocco-Pesce, Molè-Piromalli, Rugolo-Mammoliti, lvaro, solo per citarne alcune, mentre. sul versante Ionico sono censite 42 ‘ndrine tra cui, le più note, dei Nirta-Strangio, Vottari-Pelle-Romeo, Morabito-Bruzzanti-Palamara. Anche in questo ambito usura e traffico internazionale di stupefacenti sono gli affari quotidiani. Il desolante panorama regionale è completato dalle 29 cosche presenti a Catanzaro e provincia, dalle 22 a Vibo Valentia, dalle 19 di Crotone e dalle 18 di Cosenza. Un forte condizionamento ambientale, sociale, finanziario, economico esercitato in territori alle prese con gravi problemi, su tutti la disoccupazione giovanile, mentre la ‘ndrangheta si è insediata – è sempre la DIA a ricordarcelo – in Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Abruzzo, Lazio, Campania, Puglia e Basilicata. Cioè in tutta l’Italia e con presenze consolidate anche in Austria, Belgio, Svizzera, Spagna, Francia, Olanda, Australia, Canada, Colombia, Messico, Argentina, Brasile, Costa Rica, Ecuador, Guyana e Repubblica Dominicana.
Il trattamento dei rifiuti, il settore agroalimentare (si parla di “agromafie”), il traffico di stupefacenti, gli appalti pubblici, le truffe ai danni dello Stato, sono le principali attività di interesse dei clan camorristici. A Napoli e provincia, “..in un ambiente criminale caotico, costellato da un indefinito numero di gruppi…” troviamo oltre un centinaio di gruppi della camorra tra cui, i più noti, dei Mazzarella, Mariano, Contini, Lepre ed Elia, De Micco. A Caserta, nonostante il “depotenziamento” subito da alcuni clan per un’azione repressiva delle forze di polizia sempre più forte negli ultimi anni, in particolare contro i Casalesi, ci son almeno una ventina di clan che ruotano intorno alle famiglie Zagaria, Russo, Bidognetti, Belforte. A Salerno ci sono sedici clan (su tutti D’Agostino-Panella, Marinello-Pignataro) dediti alle attività tipiche delle associazioni mafiose e, cioè, traffico di stupefacenti, estorsioni, usura e detenzione di armi. Ai dodici clan di Benevento ( tra cui Sparandeo, Saturnino-Bisesto, Iadanza-Panella), si sommano, nella regione, i quattro di Avellino (Genovese, Pagnozzi, Cava, Graziano). Presenze, “silenziose”, camorristiche si sono rilevate in Liguria, Piemonte, Veneto, Lombardia, E.Romagna, Toscana, Lazio e Basilicata. Spagna e Germania, infine, sono i due paesi dove si annotano presenze particolarmente significative della criminalità organizzata campana.
Situazione non entusiasmante neanche in Puglia e in Basilicata. A Bari e provincia, infatti, si spartiscono il controllo dl territorio 28 clan tra cui quello di Strisciuglio, Palermiti-Parisi, Lorusso, Campanale, mentre nella provincia di Barletta-Andria-Trani, sono particolarmente attivi i clan Cannito, Albanese, Miccoli-De Rosa, Gallone-Carbone, sul totale di nove famiglie censite. Se a queste aggiungiamo i ventotto clan di Foggia e provincia (tra cui Ciavarella-Tarantino, Ricucci, Gentile, Sinese-Francavilla), gli undici di Lecce (De Tommasi-Pellegrino, Rizzo, Leo), i cinque di Brindisi (Vitale-Pasimeni-Vicientino, Buccarella) e i sedici di Taranto e provincia (Locorotondo, Cagnazzo, Putignano, Catapano-Leone), abbiamo un territorio regionale “controllato” da poco meno di cento famiglie mafiose, con proiezioni anche all’estero, in particolare in Albania, Spagna e Germania. Anche Potenza e Matera, infine, sono state “contaminate” nel tempo dalla criminalità delle tre regioni confinanti e, così, troviamo almeno otto gruppi (tra cui il clan Martorano-Stefanutti, Martucci e Riviezzi) operativi nel campo degli stupefacenti, delle pratiche estorsive e nelle giocate per conto di bookmakers esteri.
Uno scenario criminale nazionale alla fine inquietante e drammatico che sta condizionando pesantemente lo sviluppo e la democrazia del nostro paese dove, purtroppo, la sicurezza pubblica continua ad essere materia non di particolare interesse per la classe politica dirigente. Disattenzione per la quale pagheremo un conto salato.
L’Italia, le mafie, la mafiosità