La carestia nel Corno d’Africa e il rischio di una guerra per l’acqua

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Mai come quest’anno la Giornata mondiale dell’acqua ha rappresentato un monito che non va sottovaluto.
La carestia che ha investito tutta la regione del Corno d’Africa, la più grave dal 45 a oggi, potrebbe scatenare una guerra per la gestione delle risorse idriche, rumore espresso qualche giorno fa anche da Papa Francesco.
Finora la gravità della situazione ha spinto il presidente somalo, Abdullahi Mohamed Farmajo, a dichiarare lo stato di disastro nazionale. Stesso ha fatto il suo omologo keniota.
Sia loro che i leader degli altri paesi interessati si sono appellati alla comunità internazionale affinché risponda urgentemente a questa ennesima crisi, la terza in 25 anni dopo che l’ultima, nel 2011, aveva causato la morte per fame di almeno 260.000 persone.
Oltre alla Somalia, il Kenya, il nord Uganda e il Sud Sudan, quest’ultimo in pieno stato di catastrofe alimentare, che si aggiunge alla siccità, anche Yemen e Nigeria stanno precipitando velocemente in una carestia conclamata.
Secondo le prime valutazioni dell’ONU, sono necessari 1,9 miliardi di dollari per far fronte alla situazione, cifra che però appare sottostimata.
A fronte di ciò va evidenziato come l’acqua rappresenti per tutti questi Stati un’emergenza costante.
Nel mondo sono oltre 660 milioni le persone esposte alla carenza idrica, un quinto della popolazione del Pianeta secondo l’Oms.
Anche se non sono mai scoppiati conflitti interstatali per il controllo di corsi d’acqua negli ultimi decenni non sono mancati scontri per l’accaparramento delle risorse idriche, laddove fossero scarse.
Al momento il Paese piu a rischio appare il Sud Sudan, dove è già in atto una guerra civile tra etnie contrapposte.
Sempre più cittadini sud-sudanesi, in fuga dall’incessante violenza e la carestia che avanza, lasciano le proprie case per varcare i confini nazionali e cercare rifugio nei vicini paesi di Uganda, Etiopia, Kenya e in alcune instabili regioni del Sudan.
Da inizio anno almeno 100mila persone si sono riversate negli Stati limitrofi. Circa la metà di loro ha trovato riparo nella regione ugandese di West Nile, incuneata tra il Sud Sudan e la Repubblica Democratica del Congo (RDC). Complessivamente sono 42.654 le persone – perlopiù donne e bambini che si trovano nei distretti ugandesi di Arua, Adjumani and Kiryandongo, come rileva l’ufficio regionale di Ocha, il coordinamento degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite. Secondo quanto riferiscono operatori dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, molti uomini accompagnano le proprie famiglie al confine con l’Uganda per poi ritornare da soli in Sud Sudan. I rifugiati intervistati dagli operatori Onu hanno raccontato di aver assistito a uccisioni, sparatorie e abitazioni date alle fiamme.
La più numerosa concentrazione di persone – 32.505 rifugiati – è al momento nel centro di transito di Dzaipi, nel distretto di Adjumani, nei pressi del confine con Nimule. La struttura è stata progettata per accogliere appena 400 persone, pertanto la maggior parte di loro è stata costretta ad accamparsi all’aperto, con i bambini e nel freddo della notte. Oltre a un riparo hanno bisogno di acqua potabile, cibo e altri beni di prima necessità.
Anche in Etiopia si registra un aumento degli arrivi.
Dalla regione di Jonglei, infatti, 20mila sud-sudanesi hanno attraversato il confine per riversarsi nell’area di Akobo, dove l’UNHCR sta rafforzando la propria presenza per monitorare in modo migliore il flusso di arrivi e rispondere alle loro necessità.
Altri 7 mila sono fuggiti invece verso il Kenya.
Un dato, piu di altri, desta grande preoccupazione: l’elevato numero di bambini in questo enorme flusso di sfollati. L’Unhcr ha pertanto programmato una missione congiunta con l’Unicef al fine di valutare in maniera più accurata la loro situazione e le loro necessità, comprese quelle relative al ricongiungimento familiare e all’assistenza dei minori separati o non accompagnati.
In alcune aree del Sud Sudan – soprattutto negli stati di Jonglei e Upper Nile – si continuano a registrare combattimenti, mentre i negoziati politici ad Addis Abeba procedono con lentezza. É pertanto prevedibile che si verifichino nuovi spostamenti forzati di popolazione, sia all’interno del paese che oltre i suoi confini. Il numero di sfollati è salito dai 200mila della scorsa settimana agli attuali 355mila. Questo incremento si spiega, oltre che con i combattimenti e il timore di poter esserne coinvolti, anche con il peggioramento generale delle condizioni di vita, la mancanza di cibo e soprattutto di acqua.


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