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Internet, tra fake news e hackeraggi

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In questa fase dell’anno continuano a essere pubblicate notizie e approfondimenti sullo stato dell’arte della penetrazione e dell’utilizzo di Internet e dei mezzi tecnologici nel nostro Paese: da tutti questi report emerge un tratto comune, ovvero la “superficialità” con cui gli utenti troppo di frequente accedono a questi strumenti, che si riversa in vari aspetti critici.

Il problema delle fake news. A ben vedere, infatti, le stesse fake news su cui si sta concentrando molto l’attenzione nelle ultime settimane – e di cui abbiamo raccontato in più occasioni – sfruttano una sorta di ingenuità di fondo da parte dei lettori, che sembrano poco accorti o poco avvezzi a dedicarsi a una lettura più profonda, che magari possa intercettare un numero maggiore (e migliore) di fonti.

Sempre sui social. Molto dipende anche dal fatto che la maggior parte delle news passa attraverso i social network che, come viene ben evidenziato dall’ultimo rapporto “Internet in Italia – I Trend del 2017” pubblicato da comScore, concentrano più della metà del tempo totale trascorso online. In particolare, si calcola che 6 minuti su 10 passati in Internet attraverso dispositivi mobili come smartphone e tablet vengano spesi per accedere a Facebook o WhatsApp, mentre in termini di penetrazione tutte le prime 10 app scaricate e usate dagli italiani appartengono a Google o Facebook.

La pubblicità digitale. Non a caso, guardando agli ultimi dati forniti da Fcp-Assointernet sui fatturati della pubblicità online registrati nel mese di gennaio 2017, l’incremento maggiore della spesa per promuoversi attraverso Internet è quello legato ai settori del Mobile (+ 134,1% rispetto a gennaio 2016) e dei Tablet (+ 68,5%), mentre sono in caduta gli investimenti su Web (- 6,3%) e Smart TV/Console (addirittura – 40,8%).

Un rischio “bolla”? In pratica, volendo approfondire rapidamente questioni delicate, il nostro tempo online è affidato nella stragrande maggioranza dei casi a piattaforme editoriali, gestite secondo criteri ben specifici e algoritmi proprietari che, secondo gli osservatori più critici, rischiano di relegare l’audience all’interno di una “bolla” di informazioni, dove ovviamente non mancano le offerte pubblicitarie in linea con le nostre abitudini digitali.

Utenti poco accorti. E se in teoria (e in pratica) non c’è nulla di male, il rischio è di perdere l’apertura al mondo che invece era o sembrava una prerogativa della Rete, limitandosi a navigare in un campo molto più ristretto. Un discorso che, sempre estremizzato, può essere riproposto anche nel settore della sicurezza digitale: anche qui, infatti, la scarsa avvedutezza degli utenti può portare a conseguenze rischiose, seppur più concrete.

I rischi per la sicurezza. Basta pensare che anche nel 2016, in Italia e nel mondo, la password scelta nella maggioranza assoluta dei casi è ancora “123456“, seguita da “12345678”: due stringhe a dir poco banali e semplici da hackerare, che sono in assoluta controtendenza rispetto alle linee guida per la sicurezza evidenziate dal comitato di ricerca nazionale in cybersecurity. Secondo gli esperti del team, infatti, la prima linea di difesa informatica è proprio la corretta gestione di account e password, che devono essere elaborate e, inoltre, aggiornate con frequenza e mai condivise.

Un problema più generale. Quello della sicurezza online è un tema piuttosto delicato, che oltre alla ingenuità degli utenti (evidente ad esempio nei casi di phishing), vede un altro vulnus nella infrastruttura stessa del nostro Paese: Roberto Baldoni, il direttore del comitato cybersecurity, ha infatti di recente dichiarato che “l’Italia non ha una protezione adeguata nel cyberspace”, auspicando un cambio di rotta grazie alla collaborazione di privati e di una giovane e competente workforce.

Cattive notizie. E non a caso, nel corso del 2016 l’Italia è entrata per la prima volta nella top ten dei Paesi più colpiti al mondo dagli hacker, sia per categoria di attacchi gravi registrati che per numero di vittime. In assoluto, come spiegato dai tecnici di Recovery File, sito specializzato nel recupero file e negli interventi di ripristino su supporti di memoria guasti o danneggiati, la tipologia di attacco più frequente è il cosiddetto ransomware, ovvero il malware che cripta tutti i file dell’hard disk rendendoli impossibile da aprire e utilizzare, e che sono sbloccabili solo dopo un riscatto economico quantificato dagli stessi hacker.


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