Forse, più che Marx, ci vorrebbe Philip K. Dick per raccontare la storia che il mondo sta vivendo. Una storia che non ha ancora un titolo. O forse ne ha tanti: c’è chi la chiama rivoluzione digitale, chi sharing economy (o economia della condivisione) ed è una storia fatta di nuove soggettività, di nuovi paradigmi produttivi e di una nuova semantica: algoritmi predittivi, big data, intelligenza artificiale, droni, robotica, gigger, proletariato digitale, cyber capitalismo. E se Philip K. Dick, già nel 1968, nel racconto che ispirò Blade Runner, si chiedeva se “gli androidi sognano le pecore elettriche”, oggi gli sceneggiatori di Black Mirror immaginano un mondo in cui gli umani vengono dotati di impianti di memoria o pedalano per guadagnare “meriti”. Come i rider di Foodora o i driver di Uber, nuovi “braccianti” del caporalato digitale, sfruttati da un’App e “sloggati” al minimo cenno di protesta o di rivendicazione. Ne abbiamo parlato con Claudio Longo che per la Cgil di Catania si occupa dei settori produttivi. Lui, questa storia, preferisce chiamarla – più prosaicamente – la “quarta rivoluzione industriale”.
Perché?
«Perché sta innanzitutto rivoluzionando la struttura produttiva, esattamente come è avvenuto con le altre rivoluzioni industriali, dalla macchina a vapore all’informatica. E sta cambiando, di conseguenza, il modello di società e di relazioni. L’automazione, il digitale, l’integrazione uomo-macchina e macchina-macchina impongono visioni e prassi inedite. A partire dagli attori pubblici e dai partner sociali. Ci troveremo di fronte a nuove sfide e a tante criticità ma anche tante opportunità.»
Partiamo dalle criticità. Secondo molte previsioni, l’automazione brucerà milioni di posti di lavoro in Europa da qui al 2025
«Esistono varie stime: secondo alcuni, nel solo settore industria in Italia, nei prossimi due o tre anni, si perderanno circa 200.000 posti di lavoro. Sostituiti dai robot. Ma realisticamente altrettanti ne potrebbero essere creati se riusciamo a governare e a cogestire i processi. Industry 4.0., per esempio, è il tentativo di rendere questi passaggi un’opportunità. Anche perché l’automazione è un processo storico inarrestabile, inevitabile: dobbiamo provare a orientarlo più che a subirlo, attravaerso un grande processo di partecipazione che metta queste trasformazioni al servizio delle persone e dei loro bisogni. Il problema è che diminuirà la quantità di lavoro globale e con questo tema occorre fare i conti.»
Più facile a dirlo che a farlo…
«Il nostro compito è provarci. Trovare risposte…»
Sì, ma come?
»Intanto occorre una grande opera di riconversione e riqualificazione delle competenze dei lavoratori informate agli schemi postfordisti. Occorre pure un massiccio investimento in conoscenza, in innovazione, ricerca e infrastrutture. E ancora, è necessario puntare sulla qualità dei prodotti, sul rafforzamento dei nostri brand e delle nostre vocazioni (penso per esempio al made in Italy, all’agrifood). Ma non basta: occorre ridurre (e redistribuire) l’orario di lavoro e ragionare su quale modello di welfare debba accompagnare questa fase. In questo senso, mi sembra utile il dibattito che si sta sviluppando attorno al tema del reddito per garantire e proteggere anche chi rimane indietro, perché – come dice giustamente Massimo Cacciari – non potremo comunque essere tutti finanzieri, creativi e sviluppatori. Ma alla base di tutto questo non può che esservi un concetto chiave: redistribuzione della ricchezza. Che può sembrare un’utopia in un mondo in cui il capitale tende a concentrarsi sempre più nelle mani di pochi centri di potere, in particolare del nuovo capitalismo digitale. Basti pensare all’ultimo rapporto Oxfam: gli otto uomini più ricchi del mondo possiedono la ricchezza di oltre 3 miliardi e mezzo di persone: metà di questi ricchi sono appunto i padroni dei colossi del web.»
Bill Gates, ma anche Benoit Hamon, leader della sinistra francese, propongono di tassare il lavoro dei robot
«Mi sembra una proposta da approfondire. Se tassi il lavoro umano perché non fare lo stesso con il lavoro svolto dai robot. Riflettiamoci.»Bill Gates, ma anche Benoit Hamon, leader della sinistra francese, propongono di tassare il lavoro dei robot
Torniamo a Industry 4.0. Che tipo di impatto avrà sul nostro sistema industriale?
«Intanto considero positivo che dopo anni nel nostro paese si torni ad affrontare il tema delle politiche industriali. Industry 4.0. può essere uno strumento per rilanciare la competitività del nostro sistema industriale e, con quella, l’occupazione. Parliamo di dieci miliardi di investimenti sull’innovazione tecnologica delle imprese. Secondo uno studio di McKinsey l’innovazione digitale e l’interconnessione offriranno grandi opportunità alle imprese. Dall’utilizzo dei big data, alla potenza del calcolo (oggi le imprese ne utilizzano appena l’1%) al passaggio dal digitale al reale, alla manifattura additiva, alla stampa 3D, alla robotica e alle comunicazioni.
Ti riferisci a Leonardo?
«Sì. E’ un’azienda di Finmeccanica e si occupa di produrre hardware e software per le aziende che intendono innovarsi. Assieme a StMicroelectronics e Micron rappresenta, a livello nazionale, un importante avamposto della cosiddetta rivoluzione industriale. Ma c’è una nota dolente.»
Quale?
«L’area che ospita queste aziende, Pantano d’Arci, è un vero pantano, priva di infrastrutture materiali e immateriali all’altezza delle sfide che ci attendono. Ora, non voglio qui richiamare il mito della Silicon Valley ma è pensabile che quando piove, per dirne una, quasi bisogna mettere gli stivali per raggiungere questi siti?»
Sistemare strade e mettere in sicurezza il territorio? Questa sì che è fantascienza. Altro che il film che citavi poc’anzi. A proposito, mi ricordi il titolo?
«Ex Machina. E’ uscito un paio di anni fa. Bellissimo. Anche qui: robot e umanoidi. Mi ha colpito molto. Te lo consiglio…»