Oggi, lunedì 13 marzo, che lo voglia o no, è una giornata speciale per Papa Francesco, inizia il quinto anno del suo Pontificato. Saranno in molti a fare un bilancio di questi quattro anni ieri conclusi, di ciò che attende il futuro di questo Pontefice venuto dall’altro capo del mondo, come Lui stesso ebbe a definirsi. Frase che fu interpretata come un riferimento alla Sua provenienza, il Sudamerica, e questo senz’altro era, ma che, forse, continuando la metafora, si riferiva la fatto che, rispetto alla Curia vaticana, al suo apparato, ai suoi riti, alla sua concezione del ruolo del Papa, Lui veramente veniva e stava dall’altra parte del mondo. Non solo per un’ attitudine pastorale al servizio degli ultimi, piuttosto che all’ elaborazione di alte riflessioni teologiche. Non che gli manchino gli strumenti culturali per farlo. Difficile immaginare un gesuita impreparato, intellettualmente sprovveduto. Ciò che ha colpito molti uomini di Chiesa, gli stessi Cardinali, è stata la nettezza delle scelte, la decisione di non limitarsi alle dichiarazioni, ai piccoli atti, ma il coraggio di andare nelle Chiese madri, nelle capitali della rivolta protestante .
Non solo le dichiarazioni ecumeniche, l’ invito come uditori al Concilio, ma l’ incontro nelle loro Chiese con quelli che una volta venivano chiamati i “fratelli separati”. Ma anche l’ incontro con le altre religioni. Non solo l’ ebraismo, ma anche l’ Islam, andando ben al di là di quel cammino che avevano iniziato Papa Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, per certi versi e con il suo stile da Benedetto XVI. Così come ha destato scandalo l’ apertura verso altri stili di vita, le situazioni in cui si trovavano molti credenti. Tutto ciò ha destato clamore, resistenze e, per la prassi vaticana, ribellioni di una parte dello stesso corpo ecclesiastico (si pensi alla lettera inviatagli da alcuni cardinali che non solo esprimevano i loro “dubia”, ma li divulgavano, rilasciavano dichiarazioni nei fatti ostili nei confronti del Papa). Su questa parte, sconcertati e dimentichi della distinzione chiarissima operata da Papa Roncalli e dal Concilio Vaticano II: la distinzione tra la condanna del peccato e il rispetto per il peccatore, il dovere di prestare attenzione ai segni dei tempi. Questo in una Chiesa dove Gesù, il Cristo, al termine della sua vita terrena, mentre è in croce, prova la tentazione della Fede, “Signore perché mi hai abbandonato?”, ma trova anche la forza di dire al criminale che gli è accanto e gli chiede perdono, di assicurargli che lo porterà al cospetto del Signore.
Papa Francesco ha terminato il suo quarto anno di pontificato con gli esercizi spirituali. Al termine, rivolto al frate francescano che li aveva predicati ha detto: “C’ è una montagna di cose su cui meditare, ma sant’ Ignazio dice che quando uno trova negli Esercizi una cosa che dà consolazione o desolazione, deve fermarsi lì e non andare avanti”. Certo dev’ essere per lui una grande consolazione l’ affetto della folla, dei fedeli che sentono l’ immediatezza del contatto che riesce ad instaurare con loro. C’ è il terreno della desolazione. I martiri cristiani, numerosissimi in varie parti del mondo, i peccati della Chiesa, dei suoi uomini, la miseria delle chiacchiere (“Non mi fanno paura le streghe, ma le chiacchiere. Anche vaticane”). La desolazione del vuoto che vogliono creargli attorno. E, quel che lo preoccupa di più, la desolazione di un’ umanità per cui non conta la vita umana, dove domina la cultura dello scarto, della speculazione, della guerra mondiale a pezzi.
Su questo, Papa Francesco, finiti gli Esercizi spirituali si fermerà. Sarà una sosta che gli permetterà di ripartire con rinnovata energia, solidità di riflessione e quella determinazione che non gli è mai mancata.