“Ovunque sarai, ti troveremo. Ovunque…”. Queste sono state le ultime parole che Gulasal Kamolova si è sentita dire da un funzionario dei servizi segreti prima di lasciare l’Uzbekistan, nel 2015. Kamolova era finita nel mirino dei servizi uzbechi dopo che il suo nome era stato pubblicato su alcuni siti Internet locali, grazie all’hackeraggio dell’account di posta elettronica di un’altra giornalista già esule, Galima Bukharbaeva, responsabile del portale indipendente UzNews.net con sede a Berlino. Dopo che i contenuti delle loro mail erano diventati pubblici, Kamolova ha lasciato l’Uzbekistan. Vive in Francia e non ha mai più contattato la famiglia. “Non mi preoccupo, ma so che loro sono qui. Anche se non mi sento al sicuro, non voglio cedere alla paura”, ha detto Gulasal Kamolova.
Alla fine, il sito UzNews.net è stato costretto alla chiusura. Queste sono solo due delle storie contenute in un rapporto di Amnesty International sulla sorveglianza in Uzbekistan. Allìinterno del paese le autorità hanno dato vita a un clima di sospetto in cui la sorveglianza o la percezione di essere sorvegliati sono un aspetto costante della vita dei difensori dei diritti umani, dei giornalisti e degli attivisti politici. Ma l’effetto della sorveglianza si avverte fortemente anche fuori dal paese: i rifugiati hanno il terrore di contattare i loro parenti in patria a causa del terribile pericolo in cui potrebbero metterli e finiscono per non sentirli più.
Il sistema normativo creato dal governo uzbeco in materia di sorveglianza serve solo a facilitarne l’uso massiccio, in contrasto con gli standard e le norme internazionali. Il governo può avere accesso diretto ai dati delle telecomunicazioni e non ha bisogno di autorizzazioni per applicare tutta una serie di metodi di sorveglianza. Il ricorso alla sorveglianza aggrava una situazione già difficile per i difensori dei diritti umani, i giornalisti, gli attivisti politici e ulteriori persone. Negli ultimi anni, Amnesty International ha documentato gravi violazioni dei diritti umani tra cui detenzioni arbitrarie e diffuse torture ad opera di agenti di polizia e di funzionari dei servizi segreti.
Difensori dei diritti umani, persone che avevano espresso critiche nei confronti del governo e giornalisti indipendenti sono stati costretti a lasciare il paese per evitare gli arresti, le minacce e le intimidazioni da parte dei servizi segreti e delle autorità locali. I pochi che rimangono nei paese sono costantemente sorvegliati da agenti in borghese. I difensori dei diritti umani e i giornalisti vengono regolarmente convocati per interrogatori nelle stazioni locali di polizia, posti agli arresti domiciliari o impediti in altro modo dal prendere parte a incontri con diplomatici stranieri o a manifestazioni pacifiche. Vengono spesso arrestati e picchiati, da agenti in divisa o da persone in borghese sospettate di lavorare per i servizi segreti.