BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Claudio Miccoli, ucciso in volo dai fascisti

0 0

Il militante del Wwf prima di esser colpito abbozzò il fumetto “Oggi ho imparato a volare”, completato da Comix 40 anni dopo

Quando l’odio politico armava le piazze e rubava la vita, Claudio Miccoli era un militante con la matita. Topolino, il fumetto preferito, gli regalò un premio di pittura a 12 anni. L’orso e il lupo,  sorprese irripetibili. Per avvistarli il più giovane consigliere italiano del Wwf, nato il 3 agosto 1958, si avventurava nelle fitte boscaglie del Parco d’Abruzzo. Senza perdersi il volo degli uccelli. Incontri rari tra amici riservati. “Gli animali uccidono solo per fame” non era uno slogan ma il suo biglietto da visita, tanto per chiarire al mondo da che parte stava. E non era quella del vicino di casa e medico di famiglia Luigi Bellerè, ex combattente della Repubblica di Salò e cacciatore di  quaglie. Un fascista ma anche un galantuomo e quando il ragazzino Claudio seppe delle sue battute di caccia, chiese di andarci con lui. Il dottore lo accontentò tre volte finché un giorno avvilito non ne volle più sapere: aveva scoperto che Miccoli ci andava apposta per far rumore e lasciar scappare gli uccelli. A vent’anni provò a mettere le ali. E ci riuscì, nel suo fumetto “Oggi ho imparato a volare”, ispirato liberamente alla canzone di Eugenio Finardi in cui si disegnava in pigiama e pantofole, la barba folta e i capelli lunghi. “Sto volando…Da tutti i miei amici in visita andrò e alle loro finestre io busserò”. Pochi mesi dopo fu colpito in volo, come un fringuello dal vile bracconiere. Abbattuto a Napoli dalla violenza neofascista.

“Ci siamo spesso chiesti come Claudio avrebbe concluso quella storia e non lo sapremo mai – racconta il fratello Livio. Ci è venuta allora voglia di vederla completata e di integrarla con altre storie a fumetti, disegnate da ragazzi come lui e ispirate a personaggi che hanno lasciato un segno con la nonviolenza: Mandela, Gandhi, Luther King, Rosa Parks”. E’ nata così “La più bella vittoria. Dieci storie di non violenza…più una”, la sua, raccolta firmata dagli specialisti del fumetto della Scuola italiana di Comix e pubblicata dall’editore “Marotta & Cafiero”, con la prefazione di Alex Zanotelli.

Il titolo si ispira a una poesia che la vittima scrisse il 4 giugno 1978, quattro mesi prima di essere ucciso: “Io che non volevo colpire sono stato colpito…”. Si è rivelata il suo epitaffio, non compreso a fondo dalla retorica che ha celebrato Miccoli genericamente come un pacifista e smarcato la sua figura dall’impegno politico, come se la militanza negli anni di piombo allungasse un’ombra sull’integrità della persona. Miccoli era un militante di sinistra, determinato e un passo avanti ai politicanti. Ecologista quando non era di moda e donatore di organi quando era un tabù. Bambino timidissimo e insofferente all’autorità, con una spiga tra le mani per pungere l’indifferenza. A 18 anni recapitava lettere ai giornali, confezionava volantini e tra una manifestazione e l’altra, sceneggiature teatrali, disegni. Nella sua stanza Kafka e Pavese anticipavano i dischi di Guccini e Branduardi, Claudio Lolli e Inti Illimani. Un gradino sotto Dalla e De Gregori, uno sopra la pila di copie di Lotta Continua e la collezione di Epoca sulla natura. Una personalità ricca di luce nell’orizzonte plumbeo degli anni Settanta, incomprensibile alla mediocrità dei suoi aggressori allevati con idee avviticchiate a un bastone.

Era un sabato napoletano di fine estate, la sera del 30 settembre ’78. Miccoli uscì dalla sezione Wwf di Villa Pignatelli e dopo un salto alla Festa dell’Unità raggiunse la Lowenbrau di piazza Sannazaro, ritrovo dei giovani comunisti a Mergellina, due passi dal mare. Dal Vomero scesero in nove con bastoni e coltelli, “i fascisti di piazza Vanvitelli”. Capobanda Rosario Lasdica, curriculum nero più del carbone, fanatico poi arruolato in Afghanistan con i guerriglieri antisovietici. Nella squadra tre minorenni tra cui Antonio Torre che diventerà leader di Forza Nuova, movimento di estrema destra con provato odio per gay e immigrati. Torre è scomparso quattro anni fa, Forza Nuova è più viva che mai con una sede inaugurata in questi giorni a pochi passi dal luogo in cui fu ucciso Miccoli.

Neri mimetizzati tra i tavoli in legno all’aperto, col mirino puntato sui simboli rossi. Ne adocchiarono uno tra le mani di Paola Albarella, il giornale Lotta Continua, strappato e gettato in faccia al suo amico calabrese e studente di Medicina Giuseppe Aversa, mentre Lasdica con una bastonata alla testa lo mandava all’ospedale. Le mazzate e il fuggi fuggi. Miccoli sedeva poco più in là. Scrissero i giudici: “Armato soltanto del suo coraggio e della sua generosa indignazione per il proditorio assalto a cui aveva assistito, si alzò dal tavolo con alcuni amici e si mise sulle tracce dei fuggitivi gaglioffi”.  Il resto è cronaca per non dimenticare.

L’attivista del Wwf si diresse di corsa verso la stazione di Mergellina per identificare e forse denunciare gli aggressori come testimonieranno Massimo Stella e Vincenzo Salemme, i due militanti di 15 e 16 anni che lo affiancarono. Nel sottopasso per i binari s’imbatterono in quattro dei nove assalitori, tra cui Lasdica, che sgusciarono via, Claudio e i due compagni ripiegarono verso la piazza amica. Ma davanti alla Chiesa di Piedigrotta ne incrociarono altri tre, Ernesto Nonno, Guido Matacena, Pietro Romano che risalivano in direzione opposta dopo essere rimasti acquattati in un vicolo. I due gruppetti si scrutano, si superano, si voltano. Miccoli mette in guardia i due compagni ma si ferma e compie un gesto anomalo (e fatale) nel clima folle di quegli anni: si avvicina per chiedere spiegazioni sull’agguato alla birreria. Il cruccio di riportare alla ragione i tre squadristi è ricambiato con un bastone e un coltello branditi con odio. “Non mi hanno dato il tempo, io volevo parlare…” sussurrò in ospedale prima del coma. Circondato, può solo girarsi e accennare la fuga ma la pendenza del piano stradale di piazza Piedigrotta è un ulteriore assist alla vigliaccheria di Nonno che gli si avventa alle spalle come una furia per colpirlo alla testa con la mazza. Miccoli non riuscì nemmeno a correre, lui così sportivo e allenato alle arti marziali avrebbe messo le ali ai piedi. Cadde dopo il primo violento colpo e mentre era a terra altre tre bastonate gli sfondarono il cranio. Fu preso a calci anche dagli altrui due mentre Stella sfilò la cinghia dei pantaloni per difenderlo e difendersi e Salemme inseguito con un coltello cercò aiuto in un bar. Un’orribile sequenza di pochi secondi, tra l’indignazione dei tassisti lanciati con il cric dietro agli assassini in fuga. Claudio si rialzò, barcollò e stramazzò davanti al cinema Odeon, morì dopo 6 giorni di agonia.


Vittima della stessa cieca violenza che nel ’75 a Milano stroncò la vita del povero Sergio Ramelli, militante di destra a cui universitari di estrema sinistra spaccarono il cranio a colpi di chiave inglese perché in un tema a scuola aveva criticato le Brigate Rosse. Si spense dopo 48 giorni di angoscia a 18 anni. Alcuni condannati hanno fatto carriera, uno è diventato primario di Psichiatria al Niguarda. Per gli aggressori di Miccoli la parabola è stata meno gloriosa.

Ernesto Nonno fu condannato a 14 anni, Pietro Romano e Guido Matacena a 6 anni e mezzo per concorso anomalo. Matacena brandiva un coltello mentre Miccoli veniva bastonato, dopo il delitto si diede alla macchia per otto anni. Oggi si accompagna alla chitarra e si esibisce come chansonnier, invoca la misericordia di Dio e nei giorni bui rimpiange scelte diverse. Romano rivelò al processo brandelli di umanità, spazzò via le tesi infamanti di Nonno su Miccoli armato e descrisse al contrario i modi civili con cui si avvicinò. “Signor giudice, quei ragazzi a cui mi sono unito quella sera volevano farmi diventare un uomo duro alla loro maniera, ma io non sono altro che un ragazzo strappato improvvisamente dai banchi di scuola”. Aveva appena 16 anni, infilò un tunnel senza ritorno. Il fratello fu notato a capo chino davanti alla lapide di Miccoli.

Saldato il conto con la giustizia, Ernesto Nonno è diventato commercialista. Il giorno dopo aver ridotto in fin di vita l’attivista del Wwf, appreso che i giornali non riportavano notizie di feriti, esclamò: “Ma che cazzo, nun s’è fatto niente!”. Asciugate le “lacrime di coccodrillo” esibite al processo, in quarant’anni non ha mai cercato la famiglia della vittima. Per ricambiare almeno, seppur con fatale ritardo, quel dialogo che il povero Claudio gli offrì prima di essere ucciso.

I coniugi Miccoli non ci sono più. Papà Zeno se n’è andato tre mesi fa, serenamente se non fosse per quel cruccio di averlo fatto dopo il figlio. Mamma Maria, istruzione da quinta elementare, servì una lezione: “Non voglio vendetta, non invidio la mamma dell’assassino”.

Ernesto è il fratello di Marco Nonno, ex An e ammiratore di Mussolini, condannato a 8 anni a maggio 2014 per la rivolta alla discarica di Pianura e da indagato eletto vicepresidente del Consiglio comunale di Napoli con l’appoggio del sindaco Luigi de Magistris. Ora che l’Associazione Claudio Miccoli è riuscita a realizzare il libro a fumetti, l’assessore alla Cultura del Comune Nino Daniele ha annullato tre volte la conferenza stampa di presentazione. Daniele è stato trent’anni nelle giunte rosse dal Pci al Pds e ha maturato anche un vitalizio di 5 mila euro ma nessuna di quelle amministrazioni, da Valenzi a Bassolino (anche lui con un bel vitalizio da consigliere regionale), è riuscita a dedicare una strada al militante di sinistra. E’ accaduto poi con l’ex democristiana Iervolino.

Più sensibile la terra dei lupi. Nel Parco Nazionale d’Abruzzo “Via Claudio Miccoli” annuncia un luogo magico a Forca Resuni, duemila metri sopra le umane miserie. Da queste parti l’associazione organizza ogni anno un campo estivo di educazione alla pace e all’ambiente, ossigeno puro per le scuole di Napoli. Un impegno civile che ha sostenuto anche il ricordo, senza giustizia, di Vincenzo De Waure, studente di Ingegneria nucleare e leader del ’68 studentesco napoletano, accoltellato e bruciato vivo la notte del 21 gennaio 1972 a piazzale Tecchio. Nonostante i forte sospetti su elementi noti dell’estrema destra flegrea, la procura di Napoli non ha mai riaperto l’inchiesta.

In città gli amici di Claudio s’incontrano nella cappella di San Bonaventura, sfuggita alla sorte delle chiese sigillate o negate al pubblico dalla cattolicissima Curia: quasi la metà delle 400 che la Controriforma seminò  a Napoli. Claudio le avrebbe violate in volo. “Adesso che so volare me ne parto per un bel viaggio, me ne vado lontanissimo – sognava con la matita – e quando sono stanco mi addormento sul tetto di un treno o sull’albero di una nave a vela, e mi scrocco un passaggio come fanno gli uccelli ma prima vado a casa di qualche stronzo e/o stronza a spararmi la posa, e gli dirò…và fa ‘n culo! Io parto! Tiè!”.

Il suo fumetto postumo ha trovato lo sponsor nella Chiesa Valdese che ha finanziato con l’8 per mille i 6500 euro necessari per realizzare un’iniziativa laica. Un ponte ideale con il militante ateo, che in punto di morte regalò le cornee a due ciechi. “Mio fratello non deve essere mitizzato – dice Livio Miccoli -, era un ragazzo semplice, con valori profondi, semmai un giusto e i giusti lasciano una traccia”. Per Livio e Rosanna, 49 e 54 anni, è ancora il fratello maggiore, la guida perduta. Ma quella barba rassicurante è oggi un simbolo capovolto. I baby criminali sputati dalle paludi mai bonificate di Napoli, la esibiscono come una moda ispirata ai miliziani dell’Isis che inneggiano alla morte. Giovanissimi, come gli aggressori di quarant’anni fa.

“L’Associazione Miccoli ha un progetto del tutto nuovo per Napoli, individuare dieci luoghi della pace attorno ai quali attrarre i giovani – annuncia Livio. Claudio diceva che si possono fare tante scelte, ma bisogna scegliere la vita”.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21