Tenere i riflettori accesi sulla Turchia, dove i diritti alla difesa e a un giusto processo sono stati, assieme alla libertà di stampa, fortemente indeboliti dalle misure emergenziali, seguite al tentato golpe del luglio scorso. Temi su cui a Padova non solo si è discusso su iniziativa di Giuristi Democratici e Articolo 21 (alla prima iniziativa pubblica con la neo-costituita sezione del Veneto), ma si è cercato di trovare una saldatura operativa tra gli avvocati e i giornalisti turchi con i colleghi italiani, mirando ad alimentare un dibattito plurale che agevoli lo sblocco della democrazia nel Paese, oggi retto dal governo Erdogan.
A sperimentare la stretta delle libertà civili anche l’avvocato Barbara Spinelli che ha raccontato, alla platea gremita, la propria esperienza di respingimento dalla Turchia, dove era parte di una delegazione di osservatori. “Per sedici ore – ricorda – sono stata trattenuta in un stanza di una decina di metri quadri senza finestre con altre quattro persone, con telecamera puntata e luce accecante. Mi è stato impedito di avere qualsiasi contatto con il console, i miei effetti personali perquisiti, intaccando diritti fondamentali che non possono essere derogati nemmeno negli stati di emergenza”. E quanto sta accadendo nella penisola anatolica, pone una seria riflessione agli Stati europei. “Coniugare la sicurezza con i diritti fondamentali è un tema che ci interroga tutti” osserva l’avvocato Roberto Giovene di Girasole, componente della commissione Rapporti internazionali del Consiglio nazionale forense. Il giro di vite in Turchia, del resto, è stato giustificato con le necessità della lotta al terrorismo e della difesa dell’integrità statale. “In verità – sostiene Serife Ceren Uysal, rappresentante dell’associazione degli Avvocati progressisti di Istanbul – è stato come se il Governo avesse voluto normalizzare uno stato di emergenza già esistente, di fatto e da tempo. Centinaia di colleghi sono stati incarcerati, con la distorsione secondo cui il legale viene identificato con il proprio imputato. Un motivo che sta minando il diritto alla difesa per tutti”. Emblematico è il caso di Abdullah Ocalan, leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), da 18 anni recluso in condizioni estreme, come unico detenuto sull’isola di Imrali. “In 18 anni Ocalan ha vissuto condizioni di emergenza – sottolinea il suo difensore, l’avvocato Mahmut Sakar – ora è tutta la Turchia a vivere quelle condizioni di emergenza”.