Il profitto capitalista continua a fare perno anche sul lavoro sottopagato e precario delle donne, sulla fatica domestica gratuita in luogo di un welfare inclusivo. Le pretese attitudini femminili alla cura della famiglia e della casa si intrecciano a pregiudizi contraddittori: nelle professioni la maternità è penalizzante, la single senza figli suscita diffidenza. Quando le femministe coniugano le lotte contro la discriminazione di genere a quelle per la giustizia sociale, lo sprezzo nei loro confronti diviene scientifico, proporzionale al ruolo e al seguito nella comunità. L’hanno subìto Dilma Rousseff, Zoe Konstantopoulou, Laura Boldrini.
Nonostante le rosee previsioni di un sorpasso, i soffitti di cristallo restano saldamente nelle mani degli uomini e le mansioni casalinghe in quelle delle donne. E’ la strategia della rimozione, la medesima che nega la memoria delle donne che hanno contribuito al progresso umano. Nel discorso pubblico manca la critica dei rapporti di forza tra i sessi nella società, dunque il nesso fra la violenza maschile e il sistema proprietario entro cui si riproduce. Quali sono le radici strutturali e culturali della governamentalità patriarcale? E’ quanto mai necessario rileggere i processi storici, la politica, la vita attraverso chiavi interdisciplinari e alternative all’unilinearità androcentrica. Pochi conoscono i Matriarchal studies, alcuni discettano di studi di genere ma sovente al fine di mistificarne il messaggio. I femminismi, con le pratiche e la dialettica, pur tra limiti e divisioni, sono stati linfa straordinaria dei “dieci anni che sconvolsero il mondo”. Sapranno dispiegare nuove spinte individuali verso l’uguaglianza sociale nelle libertà?
(scheda a cura dell’autore del saggio)