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Sanremo, twitter e l’hashtag a pagamento

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 Oggi è domenica, i lustrini e le paillettes sanremesi sono già un ricordo, le luci si sono spente sul palco dell’Ariston, i vincitori hanno vinto, i cantanti hanno cantato, gli ospiti si sono esibiti, il pubblico ha votato. Ma quest’anno a Sanremo è successo un fatto nuovo, importante e che cambierà per sempre il modo di fare informazione, ma anche comunicazione e in ultima analisi di investire in pubblicità. L’etichetta con il cancelletto che da alcuni anni contraddistingue la catalagazione, l’evidenziazione, la riconoscibilità, l’archiviazione, ma anche il modo di raccontare i fatti online partendo da dentro i social è cambiata. Il fenomeno hashtag meglio conosciuto dagli addetti ai lavori, ma oramai anche da quasi tutti quelli che l’utilizzano, come spartiacque fondamentale dentro i flussi della rete per mettere ordine nel mare magnum dell’overload informativo e impilare uno sull’altro in modo chiaro e accessibile i metadati facilitando  il compito dei sovrani guardiani del regno digitale: i motori di ricerca; è stato adattato a logiche commerciali. Il tag con il cancelletto davanti è diventato uno spazio pubblicitario ed è stato ribattezzato ” hashtim ”  dal nome dello sponsor (questo ce lo siamo inventato noi), in realtà il termine tecnico è hashflag e ne parla anche Massimo Sideri sul Corriere della Sera .  E pure Enrico Mentana commenta la vicenda in un suo post su facebook. Il cambiamento, la trasformazione, la mutazione oseremmo definirla, del vecchio “amico” hashtag, è maturata  proprio dentro il Festival dei festival e quando tutto il Paese o quasi condivide il medesimo evento mediatico. La trasformazione è stata determinata da una scelta commerciale e non ideologica o informativa creando una nuova realtà dei fatti che da questo giorno (fausto o infausto) decidetelo voi, cambierà il corso degli eventi, cambierà il modo di raccontare i fatti, cambierà, e per l’ennesima volta, il ruolo di chi racconta e racconterà gli avvenimenti del mondo,  siano essi professionisti o semplici utenti interessati, o, meglio ancora, cittadini portatori di notizie e opinioni.
Cercare di dare un senso alle fake news e alla post verità, come anche qui a bottega abbiamo in modo assai imperfetto provato a fare, e  non cogliere quanto un mutamento aggiuntivo alla realtà come questo, scompagini e complichi la corretta lettura del reale sarebbe, a nostro avviso, miope e ingiusto. Nessun intento demonizzatore intendiamoci, solo volontà di capire, di porsi domande e cercare risposte. Per questo motivo abbiamo interrogato alcuni esperti e raccolto il loro parere sul tema, buona lettura!

ps. inutile dire che aspettiamo i Vostri commenti ;)

 

ps.2 stamani, domenica 12 febbraio ore 9,00 a.m. per chi legge, l’hashtag sposorizzato è secondo nei trend topic di twitter secondo solo a #buonadomenica (che ci permettiamo di augurare a tutti)
Daniele Chieffi (giornalista, comunicatore aziendale, pr)
“Il presupposto di partenza è: non c’è niente di nuovo nella vendita da parte di Twitter dell’hashtag. E’ normale che si paghi per sponsorizzare un hashtag. E’ la prima volta che questo avviene in maniera esplicita, che viene brandizzato, diventa un veicolo per pubblicizzare un marchio aziendale. Bisogna a questo punto capire di chi sono gli hashtag? E come vengono percepiti da chi utilizza le piattaforme social. Il problema è questo a mio avviso. Dunque se twitter vende gli hashtag, twitter è proprietario degli hashtag. Non è vero quindi che l’hashtag sia una libera espressione delle community che ne fanno uso, o meglio, sia il modo in cui le community si identificano vicendevolmente, identificando un nesso di coesione identificano un argomento di conversazione e sotto quella etichetta si concentrano e concentrano i loro contributi. L’hashtag è, a tutti gli effetti, una funzionalità tecnica che appartiene alla piattaforma come tutto ciò che accade all’interno di una piattaforma. Come viene percepita questa cosa? Secondo me è percepita in maniera normale dagli utilizzatori della piattaforma. Non ho sentito nessuno scandalizzato per l’uso da parte di TIM dell’hashtag sponsorizzato. Non ho sentito da nessuno, se non da parte degli addetti ai lavori del mondo della comunicazione, la volontà di articolare ragionamenti, dubbi e approfondimenti sulla questione e  su quali possano essere le conseguenze etiche o etico sociali dell’azione di Twitter e di Tim e di Sanremo e della Rai. Forse non siamo davvero difronte ad un cambiamento epocale ma solo ad una declinazione dei nuovi comportamenti che la rivoluzione digitale ci induce a tenere. L’hashtag come soluzione tecnologica appartiene alla piattaforma anche se il concetto è più ampio perchè, ad esempio,  non esiste un copyright sull’hashtag. Quando un particolare hashtag viene usato da una specifica piattaforma diventa, a mio avviso, di proprietà della stessa e quindi può essere commercializzato in maniera legittima. Ed è altrettanto legittimo che le aziende siano interessate all’uso di tale artificio per sostenere e veicolare il proprio brand e i propri  contenuti.    L’unico dubbio che ho è che le persone intercettino e percepiscano l’uso che fanno dell’hashtag come una loro libera espressione. Per questo ritengo che da parte delle aziende coinvolte in operazioni di questo tipo sia necessario agire nella massima trasparenza sugli utenti in modo che le persone percepiscano in modo chiaro le scelte comunicative dell’azienda e non si sentano strumentalizzate”Continua su lsdi


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