Riuscirà Matteo Renzi ad essere lione e volpe e magari un po’ centauro? Secondo Machiavelli, che ha inventato la scienza politica, è quasi impossibile, ma l’illustre fiorentino di 500 anni fa era un pessimista sulla natura umana e sulla capacità di adattarsi alla Fortuna che cambia. Eppure l’ex premier qualche segnale di cambiamento lo sta dando. Da un po’ non ruggisce più da giornali e televisioni e dialoga con gli eterni notabili del suo partito e le redivive correnti interne. Il giovane leoncino della politica italiana ha preso atto solo in parte della sua clamorosa sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre. Ha dato le dimissioni da primo ministro, ma non da segretario del Pd e si è limitato a una autocritica piccola piccola perché ha fretta di prendersi la rivincita accreditandosi tutto il 41% dei “no” referendari. Sta inseguendo #AlVotoAlVoto dei 5Stelle e #alvotosubito di Salvini, per andare a nuove elezioni nel prossimo giugno, ma si è incagliato quasi subito sul rebus della legge elettorale. I tempi tecnici ed istituzionali, la solita ignavia della politica italiana e il principio di autoconservazione del Parlamento in carica, rendono questo obiettivo quasi impossibile. Ma anche chi pretende le elezioni subito ha qualche buona ragione. Innanzi tutto c’è la voglia di “punire” questo Parlamento, non illegittimo, ma “nominato” con il Porcellum incostituzionale, togliendo l’accesso a una comoda pensioncina (il vitalizio non esiste più) a 593 parlamentari di prima nomina, se sarà sciolto prima del 16 settembre 2017. E poi, dopo la clamorosa sconfitta del progetto “riformista” di Matteo Renzi, molti vorrebbero fare punto e a capo.
L’ultimo motivo potrebbe essere che la Corte ha restituito all’Italia -dopo aver “spurgato” l’Italicum dai suoi elementi incostituzionali- una legge elettorale in teoria immediatamente applicabile. La Corte ha lavorato di fino, dando i criteri costituzionali per una nuova legge elettorale, che deve essere omogenea tra Camera e Senato, ma soprattutto ha restituito tutta la responsabilità delle scelte alla politica e al Parlamento. Ma questo Parlamento azzoppato sembra avere poca voglia di mettersi a lavorare su questo argomento. La “soluzione” più probabile, inseguita da M5S e Forza Italia, sembra il ritorno al proporzionale, più o meno corretto, che offre il massimo della rappresentanza e il minimo della governabilità. Il sistema proporzionale, poi, è strettamente legato alle preferenze, che da sempre hanno favorito corruzione, voto di scambio, moltiplicazione dei costi della politica. Come se non bastasse, in un panorama politico tripolare e frastagliato, rende quasi impossibile la formazione di un governo senza lunghe e defatiganti trattative, spesso sotterranee, comunque condannato a una instabilità permanente. Uno scenario già visto, che l’Italia, mostruosamente appesantita da un debito pubblico creato proprio da quel sistema, non può più permettersi.
Ecco perché Matteo Renzi in questo momento dovrebbe essere più volpe che lione, lasciar lavorare il bravo e serio Gentiloni, ascoltare amici ed avversari, recuperare la dimensione “sociale” del Pd, “rammendare” davvero le periferie e curare il disagio sociale, arrivare –forse- anche a un “reddito minimo” di solidarietà, per aiutare chi viene sfiancato dal precariato o non arriva alla fine del mese, provare a mettere un po’ di giustizia ed equità in questo nostro sistema malato, dare un po’ di speranza ai giovani. Forse potrebbe addirittura riprendere il filo delle riforme istituzionali, visto che il nostro Parlamento rimane il più numeroso al mondo (a parte la Cina) e siamo gli unici ad avere ancora due Camere con poteri identici. Però dovrebbe essere centauro sulla legge elettorale rilanciando con forza i collegi uninominali, che avvicinano eletti ed elettori e permettono di misurare la qualità dei candidati, magari puntando al Mattarellum 2.0. E poi che vinca il migliore, o il meno peggio, visto che siamo seduti su una polveriera e D’Alema ha un cerino acceso in mano.
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