Il tripudio popolare per l’elezione di Mohamed A. Mohamed Farmajo a Presidente della Somalia lo scorso 8 febbraio non si placa nonostante il trascorrere del tempo. Il neo Presidente siede ancora in albergo, in attesa di prendere possesso dell’ufficio di presidenza a Villa Somalia giovedì prossimo cui seguirà il 22 la cerimonia ufficiale, che due giorni fa ha dovuto scendere dalla sua stanza alle 3 di notte per un’improvvisata conferenza stampa onde invitare i cittadini di Mogadiscio a sospendere i festeggiamenti e a tornare a casa.
L’entusiasmo e l’ottimismo sono tali che l’economia si è subito riaccesa e lo scellino somalo si è rafforzato sui mercati contro il dollaro mentre le partenze di emigranti verso altri Paesi si sono prosciugate, a conferma che, se in patria le cose migliorano, anche le emigrazioni si spengono.
L’elezione di Farmajo è stata una sorpresa dopo la diffusione delle notizie sulla corruzione dei parlamentari. Questi, in qualche capannello tra intimi, hanno spiegato che non c’è motivo di non accettare il denaro che viene offerto in quanto, se si rifiutasse, lo prenderebbe qualcun’altro più disposto ad asservire il proprio voto. Accettare una somma di denaro – dicono – serve a indebolire chi la offre perché il voto, comunque, avviene secondo coscienza. Una singolare filosofia che lascia perplesso l’Occidente, ma che questa volta sembra aver funzionato egregiamente. L’esito delle elezioni ha quindi ridestato la fiducia verso il Parlamento e ha pure fatto cadere le tradizionali diffidenze tra i vari clan in cui è tradizionalmente suddivisa la popolazione somala: tutti inneggiano a Farmajo senza distinzione di provenienza e appartenenza. E neppure di età! Incredibile ma vero, sono cadute in questi giorni le barriere che dividevano la città di Galkajo tra il Puntland e il Galmudug. Improvvisamente sono state rimosse dal popolo. I check point sono stati abbandonati in tutto il Paese.
Né la chiamata di Farmajo alla presidenza della Somalia lascia indifferenti gli Al Shabab. Uno dei principali capi, Muqtar Robow, detto Abu Mansur di stanza nelle regioni del sudovest di Bai e Bacol, ha detto che il Presidente Mohamed ha un forte consenso del popolo sicché non ha senso contrastarlo. Ha aggiunto che con lui non c’è il rischio che il Paese venga consegnato a potenze straniere (leggi: Etiopia, Kenya o Uganda) sicché si ripromette di consegnarsi alle autorità di Mogadiscio.
E a proposito di Paesi stranieri che mirano ad influenzare la Somalia, il Daily Nation, un quotidiano di Nairobi, ha affermato che è ormai privo di significato per le truppe keniane rimanere in Somalia. Il primo miracolo che si attribuisce a Farmajo è la guarigione del contadino Abdullahi Mohamed Hussein che nelle campagne vicine a Jowar (a nord di Mogadiscio) delirava giorno e notte chiedendo di essere portato al cospetto del nuovo Presidente. Informato di questa richiesta, Farmajo non ha esitato a incontrare Abdullahi e dopo il colloquio ha deciso di assumerlo quale primo suo nuovo dipendente a Villa Somalia. Adesso “Ar Farmajo hala i geeyo”, portatemi da Farmajo, è divenuto virale nel Paese anche nella forma del motivetto o della cantilena ripetuta a oltranza durante i festeggiamenti degli ultimi giorni.
Se enormi sono le aspettative sulla presidenza, bisogna dire che Mohamed A. Mohamed sa come rispondere. Durante i pochi mesi in cui esercitò la carica di Primo Ministro tra il 2010 e il 2011, Mogadiscio rifiorì. Gli stipendi venivano pagati regolarmente ai dipendenti pubblici, l’illuminazione per le strade era ripresa, vennero aperti 4 licei e la maggior parte di Mogadiscio venne strappata agli Al Shabab grazie alle truppe governative, finalmente ben pagate, solo appoggiate da quelle di AMISOM.
Non si è mai veramente compreso quale fu il motivo per cui, a Kampala, Formaggio, all’esito di un vertice con il Presidente somalo, quello ugandese ed il rappresentante dell’Onu Agostino Mahiga (attuale Ministro degli esteri della Tanzania), accettò di dimettersi come poi fece il 23 giugno 2011, affermando di farlo nell’interesse della Somalia. Quelle dimissioni vennero osteggiate con rabbia dal popolo che sfilò compatto per le vie della capitale mentre i parlamentari si opponevano alla ratifica dell’accordo.
Certo fu che quelle dimissioni, ritenute “forzate” dai più, alimentarono la convinzione che la Somalia fosse territorio di conquista da parte dei Paesi vicini finendosi col rafforzare il potere degli Al Shabab, integralisti islamici ma anche patrioti nazionalisti, contrari alla corruzione e al capitalismo dei Signori della Guerra.
Il passato e i trascorsi di lealtà alla nazione, di rispetto dei diritti umani, di sincera dedizione alla ricostruzione delle istituzioni e del benessere del popolo spiegano più di qualunque parola o scritto perché il ritorno di Mohamed A. Mohamed alla guida più influente della Somalia suscita un così corale slancio popolare.