Non è facile ricordare un regista atipico del panorama italiano come Squitieri. Era un artigiano della macchina da presa, un artista “contro”. Contro le convenienze, la moda salottiera di tantissimi uomini del cinema di cercare di far parte dei “circoli buoni” della sinistra romana: quella che per decenni ha decretato fortune o sfortune di autori, scrittori, pittori, scultori, musicisti, registi, sceneggiatori, emarginando coloro che restavano fuori da certi schemi politici. Tanto da essere anche messi all’indice dai produttori o comunque di trovarsi in difficoltà nel poter realizzare le loro pellicole.
Squitieri era uno che non le mandava a dire: napoletano verace, era anche un polemista e spesso sposava “cause perse”, sentendosi evidentemente a suo agio nell’essere “contro” l’establishment culturale della sua epoca. E poi nei primi anni Settanta era “stato scelto” come compagno di vita (lo ha confessato pochi giorni nel ricordarlo proprio lei) da Claudia Cardinale, icona del cinema italiano ed internazionale. Lei che era stata scoperta dal grande Franco Cristaldi (storico produttore indipendente e punto di riferimento dei cineasti “di sinistra”, scopritore di talenti e finanziatore di capolavori di livello mondiale), strinse un rapporto di amore che durò per 30 anni e dal quale ebbero una figlia, Claudia.
Lei di sinistra, lui di destra! Negli ambienti che contavano ci fu un certo ostracismo verso la coppia. Ma lei non si diede per vinta e mise la sua faccia e la sua popolarità in tanti film realizzati dal compagno. Squitieri non piaceva al pubblico di sinistra, perché le sue opere erano prive di “sentiment” politico, e neppure alla maggioranza dei critici cinematografici dal “palato fine”, nonostante nel 1971 avesse firmato la lettera aperta a L’Espresso sul caso Pinelli e poco dopo l’autodenuncia pubblicata su Lotta Continua in cui esprimeva solidarietà verso i direttori responsabili del giornale, inquisiti per istigazione a delinquere a causa del contenuto violento di alcuni articoli. Negli anni Novanta divenne, seppure per un breve periodo, senatore di Alleanza Nazionale per portare avanti una sua battaglia a favore del cinema italiano. Più tardi si iscrisse al Partito Radicale, collaborando ad alcune campagne pannelliane. Nel 2013, come ultimo atto politico pubblico che si ricordi, si scagliò contro l’europarlamentare leghista Mario Borghezio, paragonandolo ai nazisti del processo di Norimberga.
Nel 2003 ebbi l’opportunità di conoscerlo, insieme all’inseparabile Claudia Cardinale, ad una proiezione privata del suo film “L’avvocato De Gregorio”. Ero stato invitato per conto di Articolo 21, in quanto eravamo in prima fila nella campagna contro l’uso del termine “morti bianche” sui media e avevamo aperto sul sito un Osservatorio sui morti per il lavoro, che fece scalpore e contribuì a far luce sul problema. Ne ricavai l’impressione di una persona garbata, diretta, senza quell’aria di sufficienza che spesso aleggia nel mondo dello spettacolo, disponibile ad impegnarsi in altre battaglie sociali. Il film era stato coprodotto dalla RAI e aveva come protagonista un fantastico Giorgio Albertazzi, attore molto restio a fare cinema.
La sceneggiatura era scevra da qualsiasi riferimento politico, in stile neorealista e senza fronzoli, come un “docufilm”, girato con grande professionalità e drammaticità. Ecco in sintesi la trama: “L’avvocato De Gregorio è un relitto del passato, costretto ad abbandonare il tribunale a seguito di un tentativo di truffa operato per affrontare le cure costose del figlio malato, allorquando aveva truffato un cliente ed era stato condannato ed emarginato. De Gregorio vive in uno scalcinato palazzo di Spaccanapoli, odiando tutto quel che gli sta intorno. L’incontro con Nunziatina, che si prostituisce a seguito della morte del marito, e la scoperta che quest’ultimo era rimasto vittima di un incidente sul lavoro mascherato da sciagura stradale, lo convinceranno a tornare alla professione, e grazie al magistrato Foloni, disposto a dargli credito nella sua battaglia legale, De Gregorio potrà riacquistare la sua dignità umana e professionale”.
Il film non ha avuto una distribuzione appropriata per le sale né la RAI lo ha mai trasmesso, finora, in prima o seconda serata. Lancio una proposta: perché non proiettarlo durante la Festa per i 15 anni del nostro movimento? Sarebbe il giusto ricordo di un artista fuori dagli schemi, ma che ha sempre prediletto affrontare argomenti ritenuti da molti autori “scomodi” (dal brigantaggio post-risorgimentale alla mafia, alla camorra, all’immigrazione), ben prima delle fiction degli anni Duemila, ma anche un riconoscimento al nostro impegno e un pungolo, affinchè questo film esca dagli armadi del dimenticatoio.