È stato col berlusconismo che si è aperto il divario tra politica e Popolo, quando, con la personalizzazione della conduzione, tutto ha preso a fare riferimento al capo e dal capo si è attesa ogni decisione da far ricadere sul Popolo. La decadenza di Silvio Berlusconi non ha comportato la fine della personalizzazione politica. Il suo modello, anzi, si è affermato con l’emergere di Beppe Grillo, Matteo Salvini e Matteo Renzi. Perfino i loro alleati, da Fratelli d’Italia all’NCD, vengono più facilmente identificati col nome dei loro capi che con le sigle, sicché gli elettori vengono chiamati più a tifare che a scegliere.
La cosa peggiore è che il fossato tra il Palazzo e il Popolo tende ancora ad allargarsi.
Durante quasi un anno di politica bloccata, aspettando l’esito di un referendum trasformato in ordalia, il Popolo ha mostrato di appassionarsi, si è ravvivato ed ha partecipato come ai tempi dei referendum radicali decretando la vittoria del No sul Si per 59 a 41: ha deciso il 10% dell’elettorato di proseguire col bicameralismo perfetto, le provincie e il Cnel. Finita l’ordalia – che ha avuto anche il pregio di rimescolare gli schieramenti tradizionali facendo votare da destra le tesi del PD e da sinistra le tesi di Salvini – la stragrande maggioranza degli italiani si sarebbe aspettata dal Palazzo una sola conclusione: “Ci abbiamo\hanno provato. È andata male. Ora mettiamoci al lavoro ché abbiamo già perso troppo tempo senza cambiare nulla”.
E invece no. Era appena finita la singolar tenzone del referendum sulla riforma costituzionale che colui che aveva promesso di abbandonare il campo, ove fosse uscito sconfitto, si è riproposto pretendendo la rivincita. Quelli che hanno vinto ritengono invece di aver conquistato, non la vittoria referendaria, ma una vittoria politica e a loro volta pretendono che venga subito ratificata con le elezioni anticipate.
Entrambe le pretese sono lontanissime dai sentimenti del popolo al quale sta a cuore la soluzione dei problemi quotidiani più le vanità dei capi partito. Il non aver compreso questo diffusissimo sentimento è il sintomo più evidente di quanto largo sia il fossato tra Popolo e Palazzo.
I politici italiani si sentono in competizione tra di loro, sgomitano per scagliarsi gli uni contro gli altri utilizzando chi la piazza, chi il blog, chi la televisione senza prendere atto di quanto poco interessino queste olimpiadi politiche visto che in piazza ci vanno le claque, nel blog votano poche decine di persone e i talk show sono ormai disertati dai telespettatori.
Dopo le speranze suscitate dal movimentismo di Renzi, al quale, infatti, arrivò una valanga di voti alle elezioni europee del 2014, la stagione elettorale referendaria ha riportato alla palude delle decisioni e l’unica risposta corale del Palazzo è stata quella di proseguire la rissa elettorale. Il Popolo è ormai smarrito. Chi strillava contro la politica ha votato per il bicameralismo perfetto; chi inveiva contro Roma ladrona ha rubato, ma ancora parla; chi ha trascinato la dignità delle istituzioni in un postribolo detta ancora la linea ai suoi; chi potrebbe raccogliere i frutti di questo sfascio si indebolisce dividendo invece di includere; chi dovrebbe impugnare la bandiera dell’etica sociale si frantuma in mille rivoli beccando il vicino come i capponi di Renzo Travaglino.
Il panorama è desolante, il Popolo è deluso e sfiduciato. L’economia non decolla, il futuro dei giovani è oscuro, la burocrazia invecchia incistando i problemi nell’erogazione dei servizi pubblici. Il vero blocco dell’Italia sta nella rissosità e nello sguardo corto dei suoi politici.
C’è un solo modo per superarlo. Prendere la tessera di un partito col quale si abbia affinità per partecipare alle scelte interne ed entrare nel Palazzo portando quella ventata di energie popolari che mancano nelle stanze dei bottoni. E se come dicevano i nonni “La politica è una cosa sporca”, rimbocchiamoci le maniche a andiamola a pulire o ci negheremo il diritto di lamentarci.