Si trovano uno affianco all’altra. Lui la guarda con sguardo fisso, misto di rabbia arrogante e di sfida. Ilaria capisce subito chi è. Non è un avvocato, non è un cancelliere, non è un consulente od un assistente medico legale. Quello sguardo e quell’atteggiamento arrogante che sembra quasi voler essere intimidatorio appartengono ad uno di coloro che sono accusati di aver violentemente pestato suo fratello. Il fratello il cui corpo le era stato poi restituito in quelle terribili condizioni che vengono documentate dagli atti di causa.
Ad Ilaria si velano gli occhi di lacrime mentre quell’incrocio di sguardi prosegue durante l’udienza. Le lacrime non scendono ed Ilaria non abbassa gli occhi. Si chiede come possa quell’uomo essere capace di tanta silenziosa ma violenta arroganza. Che vuol dire quello sguardo fisso fisso contro di lei? Cosa le vuole dimostrare?
Le possibilità di spiegazione sono molteplici e diverse. Nessuna può però essere considerata espressione di umana pietà, di comprensione, di dolore per quanto è accaduto. Nessuna. La stessa scena si ripete del tutto inattesa, qualche tempo dopo, a Bari, di fronte all’accesso dell’istituto di medicina legale dove si era appena tenuta una sessione delle operazioni peritali disposte dal giudice.
Ancora lo stesso uomo ci incrocia. Non me ne accorgo subito. Percepisco un silenzio improvviso ed innaturale e mi accorgo che lui fissa a lungo Ilaria, impietrita e con la mascella serrata. “Ma che cosa hai da guardare?! Si può sapere che cosa guardi??” Intervengo io con voce stizzita. Quell’uomo mi ignora e passa oltre voltandosi solo per un attimo. Quale persona può ostentare tanta insensibilità per non dire altro? Non un carabiniere. Per questo Ilaria oggi è contenta. Perché quella divisa per lei rappresenta ben altro.