L’impensabile in politica può diventare realtà. Era inimmaginabile l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea e la vittoria di Donald Trump in America. Eppure Londra con un referendum ha detto addio alla Ue e il miliardario Trump è stato eletto presidente degli Stati uniti contro ogni previsione. Adesso le forze euroscettiche del continente e Trump, con modi ed interessi diversi, puntano alla spallata finale: vogliono la polverizzazione della moneta unita e della Ue, due conquiste storiche di unità, di pace, di libertà.
Tira una brutta aria per l’euro e per l’Unione europea. La moneta unica traballa e vacilla la stessa Ue. Quest’anno si voterà in Francia, in Germania e, forse, in Italia, se ci saranno le elezioni politiche anticipate. Le spinte anti europee sono fortissime, la sorte dell’euro è appesa a un filo. Marine Le Penn ha avviato la sua campagna elettorale per le elezioni presidenziali francesi con toni infuocati. Ha pronunciato un triplo no all’euro, alla Ue e alla Nato (l’alleanza militare tra gli Usa e gli altri paesi di democrazia occidentale). Se la candidata della destra nazionalistica, euroscettica e anti immigrati sarà eletta all’Eliseo, la Francia uscirà sia dall’euro, sia dall’Europa, sia dall’Alleanza atlantica.
L’incertezza non piace ai mercati finanziari internazionali. L’affondo della Le Penn ha causato una discesa della moneta comune europea sul dollaro e sulle altre divise di riserva mondiali e la flessione delle Borse europee. In difesa della moneta unica, nel silenzio della politica europeista, è sceso in campo ancora una volta Mario Draghi: «L’euro è irrevocabile». Il presidente della Bce (Banca centrale europea), intervenendo al Parlamento europeo, ha lanciato un allarme e svolto un’analisi più da politico che da tecnico: l’euro «ci tiene uniti» e se affondasse anche «il mercato unico non sopravviverebbe».
L’unità europea ha pagato. La nascita prima della Comunità e poi dell’Unione europea ha determinato la sconfitta dei nazionalismi, ha garantito 70 anni di pace, di libertà e di prosperità al vecchio continente, prima flagellato da sanguinosissime guerre fratricide. Certo la gravissima crisi economica internazionale, la peggiore dopo quella devastante del 1929, ha flagellato e continua a colpire la Ue e, in particolare, i paesi più deboli dell’Unione come l’Italia. La ripresa economica è debole così pure quella dell’occupazione, ma la bancarotta per ora è stata evitata grazie proprio a Draghi. Il presidente della Bce ha difeso la politica monetaria espansiva, criticata dalla Germania e ora anche dal nuovo presidente Usa Donald Trump. Per Draghi è una linea nell’interesse di tutti, Berlino compresa. La scelta attuata negli ultimi anni è stata presa dal presidente della Bce per sostenere la ripresa, gli investimenti e l’occupazione. Ha avvertito: la scelta monetaria espansiva proseguirà «sino e oltre il 2017 se necessario». Quindi continuerà la politica della Banca centrale europea, del costo del denaro zero e degli acquisti mensili di stock di titoli del debito pubblico dei paesi di eurolandia. Tutte decisioni osteggiate da gran parte del governo tedesco.
La preoccupazione è forte. Potrebbe ripetersi una crisi simile a quella dell’estate del 2012, quando la speculazione internazionale attaccò i paesi più deboli e lo spread dell’Italia (il differenziale dei tassi d’interesse tra i titoli del Tesoro decennali e quelli equivalenti tedeschi) arrivò a oltre 500 punti, una quota da collasso finanziario. Draghi nel luglio del 2012 intervenne e riuscì a placare la tempesta affermando: «Nell’ambito del nostro mandato la Bce è pronta a fare tutto il necessario per preservare l’euro. E credetemi: sarà abbastanza». E il miracolo riuscì. Lo spread gradatamente ridiscese. L’euro fu salvo. Draghi fu battezzato SuperMario dalla stampa internazionale. Quasi due anni fa lo spread calò fino a scendere sotto quota 100 punti, con notevoli risparmi sulle spese per i tassi d’interesse pagati dall’Italia sul proprio enorme debito pubblico. Lo scorso 23 giugno, con l’uscita di Londra con un referendum dalla Ue, la crisi ricominciò. Anche allora intervenne Draghi per cercare di calmare i mercati: «La Bce è pronta a qualsiasi evento in seguito al referendum britannico sull’Unione europea». Ma questa volta il miracolo non si è ripetuto.
Lo spread è una “tigre” temibile, fa anche cadere i governi. In Italia è successo nel 2011. Nell’autunno di quell’anno la crisi finanziaria divampò fino a far schizzare lo spread a 575 punti: Silvio Berlusconi si dimise da presidente del Consiglio e al suo posto subentrò il professor Mario Monti, un tecnico alla guida di un esecutivo tecnico. Ma anche Monti non brillò: i pesanti tagli alle spese, in testa a quelle per le pensioni, fecero piombare l’Italia in una grave recessione economica. Ora la parola va agli elettori europei. Draghi “vota” in favore dell’euro e dell’unità europea cercando di combattere la crisi e la disoccupazione. SuperMario, scontrandosi anche con la Germania di Angela Merkel e l’America di Donald Trump, difende le sue misure monetarie espansive e critica le scelte protezionistiche. Da tecnico cerca di dare delle risposte anche politiche. Ma tocca soprattutto ai governi europei, ai grandi partiti popolari e di sinistra, dare una risposta politica alla crisi economica e al disagio sociale, cambiando ciò che non funziona nei trattati europei e in quelli sull’euro. Se non si farà nulla c’è il pericolo di una vittoria dei partiti populisti di destra e di sinistra, anti euro e anti Europa. Romano Prodi, convinto europeista, ex presidente del Consiglio, inventore dell’Ulivo e del Pd molti anni fa definì “stupidi” i parametri a fondamento della moneta unica.
In Europa come in Italia, invece, si sente solo la voce dei populisti euroscettici che imputano all’euro e alla Ue a trazione tedesca la chiusura delle fabbriche e la disoccupazione di massa. In Italia soprattutto Beppe Grillo e Matteo Salvini puntano sulle fortune elettorali del M5S e della Lega Nord sull’abbandono della moneta unica. Più volte hanno proposto un referendum contro l’euro. Gli attacchi alla moneta comune sono popolari e raccolgono voti. Ma ci sono anche tante persone in favore dell’euro e della Ue, ma chiedono modifiche per risolvere i molti difetti. Ma sia in Europa e sia in Italia manca una forte voce politica per un nuovo euro e di una nuova Europa. Manca un progetto politico strategico di rinnovamento che rassicuri e incoraggi i cittadini impauriti e impoveriti dalla crisi. Per ora c’è solo Draghi: “Balla da solo”. Ma c’è il rischio che il solo “SuperMario non basterà.