Bellezza e vita, musica e meraviglia, cultura e conoscenza, genio e slancio artistico, potenza espressiva e ricchezza individuale e, in gran parte, inevitabilmente, anche collettiva: Johnny Dorelli, Jonathan Safran Foer, Kurt Cobain ed Andy Wahrol hanno rappresentato o rappresentano tuttora questo e molto di più.
Li accomunano vari anniversari: Dorelli compie ottant’anni, Foer quaranta, Cobain ne avrebbe compiuti cinquanta proprio in questi giorni se non avesse commesso la follia, degna del personaggio, di suicidarsi a soli ventisette e, infine, di Wahrol ricorre il trentesimo anniversario della scomparsa.
E così, ci troviamo qui a rendere omaggio alla grandiosa leggerezza di un cantante tra i più suggestivi della nostra storia e del nostro panorama musicale, all’inventiva di uno degli scrittori contemporanei di maggior prospettiva, capace di far rivivere le emozioni che solo i maestri di un certo genere ebraico sono stati in grado di suscitare, all’estro e alle innumerevoli trovate di un artista che ha rivoluzionato il contesto mondiale del rock, con quell’inconfondibile stile “grunge” che ha reso i Nirvana una delle band più famose e vendute di tutti i tempi, e alla rivoluzione magnifica e sconvolgente di colui che rese celebre ovunque la cosiddetta Pop Art, accettando la sfida e i contenuti commerciali di un settore fino a quel momento ammantato da un’aura di sacralità.
Ciò che accomuna queste quattro figure è l’abilità con la quale hanno saputo remare in direzione ostinata e contraria nel corso della propria vita: Dorelli rimanendo un cantante di genere leggero, capace tuttavia di indurre a riflettere su tematiche alte e di produrre una musica di notevole qualità; Safran Foer riscattando l’immagine di una generazione apparentemente apatica attraverso opere che hanno saputo colpire la collettività non solo per la loro vitalità ma anche per l’unicità e l’originalità dei loro messaggi; Cobain per il suo pervicace rifiuto, a differenza di Wahrol, di trasformarsi in un prodotto meramente commerciale, per la sua inesausta lotta contro la mercificazione della poesia e per la sua scelta di andarsene prima di trasformarsi nell’emblema di una stagione storica che ha scelto coscientemente non solo di non raccontare ma addirittura di non vivere; Wahrol per la sua sfrontatezza nell’infrangere i tabù di una società e di un contesto artistico ancora profondamente autoreferenziale, aprendolo ad una svolta destinata a modificarne per sempre i canoni e la percezione da parte di milioni di persone, rendendo improvvisamente obsoleto ciò che fino a quel momento era stato considerato assolutamente intoccabile.
Quattro stecche nel coro asfissiante del conformismo e del cinismo di oggi e di sempre, quattro alfieri di un’altra idea di società, quattro personalità estremamente diverse, per vita, scelte, biografia e destino, eppure destinate ad essere ricordate come altrettanti simboli di resistenza alla massificazione imperante, quattro anniversari che ricorrono in questi giorni e di cui abbiamo ritenuto doveroso dare conto, spezzando a nostra volta le catene di una narrazione ufficiale incentrata unicamente sulle vicende di una politica in crisi di prospettive, di identità e di quel minimo di afflato che potrebbe ancora salvarne l’immagine e, soprattutto, i contenuti e la credibilità.
Un modo per ribellarci, con la tastiera e le idee, come abbiamo sempre fatto e sempre faremo, prendendo esempio da chi non ha mai chiesto permesso prima di compiere la propria rivoluzione, trasformandola in breve da personale in collettiva, cosa che può accadere solo ai sognatori che non sono disposti in alcun modo ad arrendersi.