La storia di Ahmadreza è la storia di un ricercatore iraniano che arriva nel nostro Paese nel 2010. Ha una moglie, due figli ed inizia un progetto di ricerca in assistenza sanitaria per i disastri e le crisi umanitarie, all’Università del Piemonte Orientale, a Novara. Gira il mondo Ahmad. Insieme al team del CRIMEDIM, composto da donne e uomini in collaborazione con università di tutto il mondo: il Research Group on Emergency and Disaster Medicine di Bruxelles, il Karolinska Institutet, il Center for Public Health in Disaster dell’Università di Teheran. In Italia Ahmad si occupa di disastri provocati dal dissesto idrogeologico e dalle scosse di terremoto in Emilia e a L’Aquila. Poi si dedica al sisma ad Haiti e alla riduzione del rischio in Europa di possibili eventi calamitosi. Il dott. Djalali insomma è uno che non si ferma mai, che gira come una trottola con un unico obiettivo: aiutare le comunità a proteggersi e a rialzarsi una volta colpite. È così difficile da fermare che sceglie ad aprile 2016 di partecipare anche ad un convegno nella sua Tehran. Un errore che paga carissimo: dal 24 di quel mese, data del suo arresto, di Ahmad arrivano in Italia notizie a singhiozzo. Frammenti di verità misti a speculazione del regime. Torture, prigione, minacce, spionaggio. Di Ahmad non si sa più nulla.
Solo Vida, sua moglie, riesce a diradare la nebbia. Racconta che hanno fatto firmare una confessione al marito, con accuse non vere, impossibili soltanto da pensare. Passano settimane, poi mesi. La famiglia è costretta al silenzio per non mettere in pericolo la vita di Ahmad. Ma a poco serve: qualche giorno fa la notizia arriva come un fulmine a ciel sereno. Vida afferma di aver notizie del marito: “la sua punizione sarà la morte”.
“Abbiamo conosciuto Ahmad 7 anni fa ed abbiamo sempre apprezzato il suo carattere mite, la sua generosità e la sua dedizione per la ricerca – racconta Alba Ripoll, una delle sue colleghe del CRIMEDIM – Quando Vida ci ha raccontato di Ahmad abbiamo subito pensato al modo in cui aiutarli. Per noi l’idea che Ahmad sia in carcere, accusato di collaborare con Stati nemici è dolorosa, perché crediamo nella libertà della ricerca ed ogni giorno lavoriamo con persone provenienti da tutto il globo, il cui unico obiettivo è migliorare l’assistenza sanitaria in caso di catastrofe”.
Dopo che la notizia della condanna a morte è uscita sulla stampa italiana il CRIMEDIM, l’Università del Piemonte Orientale, la Vrije Universiteit Brussels, il Karolinska Institutet e l’Emdm Alumni si sono dedicati completamente alla causa di Ahmad, collaborando e coordinando gli sforzi per salvare la sua vita. “Siamo preoccupati per la sua sorte, ma molto determinati nel perseguire il nostro obiettivo: far tornare Ahmadreza dalla sua famiglia” promettono i colleghi e gli amici delle Università.