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Corte dell’Aja: schiaffo al Kenya, trema l’ENI

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Ieri, 2 febbraio, la Corte Internazionale di Giustizia (CIJ), il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite con sede all’Aja, ha rigettato entrambe le eccezioni sollevate dal Kenya per contrastare la domanda presentata dalla Somalia al fine di stabilire i limiti esterni della sua piattaforma continentale oltre le 200 miglia nautiche. La Somalia si è rivolta alla Corte invocando l’art. 76, comma 8, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) alla quale aderiscono entrambi i contendenti.

Il conflitto è esploso nell’ottobre del 2011 quando il Kenya, con la scusa di difendersi dagli attacchi sul suo territorio dei terroristi jihadisti di Al Shabab, ha occupato la parte meridionale della Somalia superando i tradizionali confini. L’occupazione è stata legittimata successivamente, a livello internazionale, ammettendo il Kenya, assieme a Uganda, Burundi e Etiopia, tra gli Stati componenti l’AMISOM, la missione internazionale dell’ONU per la stabilizzazione della Somalia. Per Kenya ed Etiopia è stata adottata una deroga alla regola dell’ONU di non ammettere truppe di peacekeeping provenienti da paesi confinanti con conflitti territoriali risalenti: nella specie il Kenya con il territorio dell’NFD e l’Etiopia con la regione dell’Ogaden. L’NFD e l’Ogaden sono aree storicamente rivendicate dalla Somalia e abitate da somali.

Il vero motivo del contendere tra Somalia e Kenya sono i giacimenti offshore scoperti da Siad Barre negli anni Ottanta, quando nell’area marittima somala si accertò la presenza di ingenti quantità di petrolio e di gas. Approfittando del collasso dello Stato somalo per la ventennale guerra civile, il Kenya, adducendo un’erronea prosecuzione in mare, sulla direttrice da nordovest a sudest, della linea di confine terrestre affermata dalla Somalia secondo le regole internazionali, ha proposto in alternativa una linea perpendicolare alla costa mettendo così in discussione la sovranità della Somalia su circa 100 mila chilometri quadrati ricchi di idrocarburi. Sebbene non vi fosse in base alle leggi internazionali alcun motivo di dubitare del confine tra i due Paesi registrato dall’ONU fin dagli anni Settanta, il Governo Federale di Transizione somalo, guidato dal Presidente Sharif Sheikh Ahmed e dal Premier Omar Abdirashid Ali Sharmarke, accettava la messa in discussione del confine con un Memorandum of Unserstanding (MOU) del 7 aprile 2009, peraltro respinto dal Parlamento somalo dell’epoca.

Il Kenya, anziché fermarsi, ha proseguito la sua politica predatoria. A seguito dell’occupazione meridionale della Somalia, il Kenya ha concesso nel luglio 2012, all’ENI, alla norvegese Anadarko Petroleum e alla francese Total, i permessi di estrazione nell’area contesa. L’ENI si è aggiudicata dal Kenya i lotti L-21, L-23 e L-24.
Nel 2014, pertanto, la Somalia ha adito la Corte Internazionale di Giustizia. Il Kenya si è opposto eccependo preliminarmente, sia la carenza di giurisdizione della Corte stessa a dirimere il contenzioso, sia la ricevibilità del ricorso della Somalia fondando entrambe le eccezioni sull’interpretazione del MOU del 2009.

Con la decisione del 2 febbraio, la CIJ ha rigettato entrambe le eccezioni suddividendole in quesiti risolti parte all’unanimità, parte con maggioranza di tredici giudici a tre e disponendo, in modo inappellabile, che il processo prosegua nel merito.

Il Kenya non ha un buon rapporto con gli organi giurisdizionali internazionali. Nell’ottobre 2014 il suo presidente Uhuru Kenyatta (nella foto) è stato chiamato a rispondere delle violenze post elettorali degli anni 2007 e 2008 che causarono un migliaio di morti e oltre 500 mila sfollati davanti alla Corte Penale Internazionale, altra Corte che, come la CIJ, ha sede a L’Aja. Da quel processo Kenyatta se l’è cavata per un soffio e senza verdetto a dicembre 2014, quando è stata ritirata l’accusa di essere un criminale di guerra, ma se l’è legata al dito e a gennaio 2016 ha proposto all’Unione Africana il ritiro dallo Statuto di Roma che ha istituito la Corte per i crimini contro l’umanità.
Il rigetto delle eccezioni preliminari del Kenya nel conflitto contro la Somalia, anche se non pregiudica l’esito della vertenza davanti alla CIJ, manifesta, tuttavia, la pretestuosità delle prime linee difensive del grande Paese africano e pone un pesante ostacolo alle attività estrattive dell’ENI nella zona. La Total e la Anadarko Petroleum hanno già lasciato le concessioni.

Il Premier somalo uscente Sharmarke, sottoscrittore tramite il suo Ministro Abdirahman Abdishakur Warsame del MOU del 2009 col Kenya, esce sconfitto dalla pronuncia della CIJ. È attualmente candidato alla presidenza della Repubblica Federale somala con il sostegno, consacrato nell’incontro dei primi di novembre 2016 ad Abu Dhabi, proprio del Kenya e delle compagnie petrolifere interessate. La decisione della Corte de L’Aja compromette fortemente le sue prospettive di vittoria. Non a caso, alla vigilia del verdetto della CIJ, si è scagliato contro le ingerenze dell’Etiopia sulle elezioni presidenziali previste il prossimo 8 febbraio accusandola di sostenere il Presidente uscente Hassan Sheikh Mohamud con ciò riprendendo quanto ormai si afferma apertamente nei circoli diplomatici.
Con ciò si conferma che le elezioni somale non sono un affare dei soli somali.

Fonte: blog Repubblica


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