«Noi crediamo che attraverso la medicina sia possibile il dialogo fra i popoli e come medici ci facciamo ambasciatori di questo dialogo»: risponde così il dottor Foad Aodi, medico fisiatra, italo-palestinese, presidente di Amsi (Associazione medici di origine straniera in Italia) e consigliere della Fondazione dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri di Roma, alla domanda su quali siano gli obiettivi dell’associazione che riunisce 60mila professionisti della salute di origine straniera che lavorano in Italia. Non solo cura, dunque, ma anche impegno per la pace.
L’associazione si è costituita ufficialmente nel 2000, ma medici stranieri e studenti di medicina sono arrivati in Italia fin dagli anni ’60. In quella prima fase, il numero maggiore era proprio di studenti, provenienti soprattutto dai Paesi arabi, dalla Grecia, dall’Africa e dal Sudamerica. Una volta laureatisi, il 40% restava in Italia, gli altri tornavano ad esercitare nella loro patria, ma senza recidere il legame. Caduto il muro di Berlino, arrivarono medici già laureati nei loro Paesi di origine, soprattutto dall’Est, pertanto si pose il problema del riconoscimento dei loro titoli. La terza fase è legata alla cosiddetta primavera araba: diminuisce l’arrivo degli studenti, aumenta il numero di medici che fuggono dal mondo arabo in fiamme. Il direttivo Amsi è stato appena rieletto, per il quarto mandato, ed è rappresentativo di un’associazione che non riunisce solo medici (18mila), ma anche 37mila infermieri, 3.500 fisioterapisti, 2.000 farmacisti, 200 psicologi. «È un’associazione trasversale come professionalità – aggiunge – e come pari opportunità, il 50% sono donne, e rappresenta un laboratorio di vera integrazione inter-professionale e inter-culturale. Politica e questioni religiose restano fuori dall’attività professionale. Predomina la laicità del messaggio, pur nella dimensione di fede di ciascuno». Per quanto attiene agli obiettivi specifici, l’associazione assiste tutti i professionisti della sanità di origine straniera, fornisce assistenza sanitaria agli immigrati, mantiene un legame con i Paesi di origine, attraverso attività di cooperazione internazionale – recentemente si è fatta promotrice di Umem, Unione medica Euro-Mediterranea -, perché, dice ancora il dottor Aodi, «non dobbiamo mai dimenticare le nostre radici». Le problematiche incontrate negli anni hanno riguardato il riconoscimento dei titoli di studio, l’accesso alle scuole di specializzazione, l’inserimento nel mercato del lavoro, il diritto alla salute, l’aggiornamento professionale. «Rimane un problema aperto, la necessità della cittadinanza italiana per accedere ai concorsi pubblici. Per questo, i nostri medici lavorano per lo più nelle strutture private. Davanti all’idea di un’immigrazione identificata sempre con la povertà, con il terrorismo, noi rispondiamo con 60mila professionisti, altamente qualificati; altri Paesi europei non hanno questi numeri».
Articolo21 – Veneto