Nessuna manovra aggiuntiva, la Stampa apre così. Pare di capire che Gentiloni non intenda rispondere “signorsì” alla Commissione europea che chiede un aggiustamento di 3,4 miliardi dei nostri conti pubblici. Proverà a spiegare che il 2016 è stato un anno di deflazione, che le privatizzazioni non sono andate avanti e la spesa sociale non si può comprimere troppo, se non alimentando populismi e instabilità politica. Così Padoan prende carta e penna e scrive per la Stampa un articolo contro “la disuguaglianza, in Italia particolarmente elevata da ben prima della Grande Recessione, (che) limita la mobilità sociale, danneggia la crescita ed è inaccettabile dal punto di vista etico”. Per questo servono politiche di “inclusione”. E sotto questo titolo (inclusione, lotta alla disuguaglianza) Padoan prova a giustificare il ritocco alle pensioni minime e i bonus del governo Renzi che hanno fatto sforare i parametri europei. Ma Bini Smaghi osserva sempre per la Stampa che “nemmeno con la politica della spesa si guadagnano consensi, come mostra il referendum”. Basta la flessibilità evocata dal governo è stata un flop, tagli alla spesa e riforme, a costo “di perdere le prossime elezioni”. Come che sia, ormai è evidente come l’ottimismo di Renzi sia stato un sole ingannatore. Nei mille giorni del suo governo l’Italia ha perso il rendez-vous con la ripresa. Secondo il Fondo Monetario crescerà solo dello 0,7%, nel corso del 2017, “5 volte meno del resto del mondo”.
Agcom, uno stop a Vivendi. Repubblica “apre” sul duello italo francese. Da una parte la fusione Luxottica-Essilor, per creare un gigante delle lenti e delle montature: l’azionista di maggioranza resta italiano, il titolo sarà quotato alla borsa di Parigi. Dall’altra, la vicenda Vivendi Mediaset, con Agcom che obietta sulla scalata di Bollorè visto che il finanziere francese è già azionista di riferimento di Telecom e non potrebbe, dunque, concentrare nelle sue mani anche la produzione dei contenuti audio visivi, finora sotto il controllo della famiglia Berlusconi. Oltre il braccio di ferro franco italiano, Repubblica prevede tempesta per il nostro paese, l’inflazione infatti è tornata in Germania e in Spagna, Draghi non potrà tenere a lungo i tassi sotto lo zero e il debito ci costerà più caro. Perciò sarà bene – spiega il giornale diretto da Calabresi – che il governo rinunci ai bonus promessi da Renzi e tagli le spese ministeriali.
Duello con Berlino sulle auto, il titolo del Corriere pone l’accento sull’altro duello rusticano, in attesa dell’incontro di domani tra Merkel e Gentiloni. Il governo tedesco, spalleggiato dalla commissione europea, ha chiesto alla Fiat di ritirare, perché inquinanti, 500X, Renegade e Doblo. Calenda e Del Rio, hanno risposto a muso duro: “pensate a Volkswagen!” Ma Daniele Manca sottolinea come la Germania abbia appunto pensato alla sua industria, istituendo una commissione d’inchiesta sul disielgate, pagando il prezzo della truffa tentata e puntando sull’innovazione. Così Volkswagen è già tornata leader mondiale dell’auto. “Invece di reagire in maniera condivisa – scrive il notista economico di Repubblica – (noi) restiamo una nazione rissosa, con una politica che non vuole prendere atto delle debolezze del Paese e che teme soprattutto di raccontarle agli elettori assumendosene le responsabilità e indicandone le soluzioni per quanto amare”.
En attendent Godot. Beckett scrisse quel dramma in un momento di minacciosa incertezza, con la bomba atomica appena sperimentata. Il nostro Godot è forse Donald Trump, che fra tre giorni prenderà il potere negli Stati Uniti. A quanto capisco, immagina un capitalismo senza vincoli, ma in un solo paese. Capitalisti arricchitevi – dice – e il governo non vi ostacolerà. Ma guai a spostarvi in Messico, in Europa o in Cina. Spendete qui il denaro che arraffate, protetti dai muri, dai dazi e dal deterrente nucleare. La Nato appare a Trump un inutile costo. I rapporti con Putin intende regolarli direttamente, con una mano tesa in segno di amicizia e l’altra armata. Israele potrà bastonare i palestinesi. L’Iran dovrà rinunciare al nucleare. L’Europa, tanto meglio se divisa, appare a Trump un concorrente da scalzare. Questo mi sembra il futuro. Ma giornali, intellettuali, leader politici sembrano ancora legati alla narrazione irenica di una mondializzazione finanziaria che mentre esporta merci allarga l’area dei diritti. Così stentano a capire come mai finanza e banche si siano così rapidamente riallineate a Trump. La storia insegna poco. A un borghese francese o a un aristocratico russo, in visita all’Esposizione mondiale di Parigi, non sarebbe mai passato per la testa che l’Europa potesse scannarsi da lì a poco nelle trincee della Grande Guerra. Speriamo che non accada di nuovo. Ma è evidente come Stati Uniti, Russia, Cina, India, Iran, tirino già ciascuno la coperta dal proprio lato. E noi? La prima cosa da decidere è chi siamo noi, Italia o Europa? Certo, non questa Europa. Ma il ritorno a un Italia sovrana, con l’evasione fiscale che ci trasciniamo, l’intermediazione parassitaria e un capitale criminale così diffuso, confesso, mi spaventa. Anch’io, come Sergio Cofferati che ne scrive oggi sul Manifesto, vorrei chiedere a Stefano Fassina: possiamo uscire dall’Euro e riprenderci la sovranità monetaria. E poi?