Abuso di ufficio e falso in atto pubblico. È un colpo micidiale arrivato sulla testa di Virginia Raggi. La sindaca grillina di Roma comunica su Facebook di essere inquisita dalla procura della Repubblica della capitale e per ora non parla di dimissioni: «Sono molto serena, ho completa fiducia nella magistratura, come sempre. Siamo pronti a dare ogni chiarimento». Verrà interrogata il 30 gennaio. Le ipotesi di reato riguardano la nomina di Renato Marra a capo del dipartimento del turismo del Campidoglio, incarico poi revocato. Renato Marra è il fratello di Raffaele, ex capo del personale del comune di Roma, arrestato alcune settimane fa. Virginia Raggi ha immediatamente informato Beppe Grillo e i vertici del M5S, adempiendo «al dovere di informazione previsto dal Codice di comportamento del MoVimento 5 Stelle».
Il colpo durissimo. In passato Grillo aveva criticato gli “errori”, ma aveva sempre difeso la sindaca della capitale. Le disavventure giudiziarie e politiche della giunta Raggi a Roma sono una pesante zavorra per le ambizioni del M5S a livello nazionale. Potrebbe far annullare la capacità dei grillini di passare da una vittoriosa opposizione anti sistema a una corretta ed efficace azione di governo dell’Italia. Bruciano i ritardi degli autobus e i cassonetti debordanti di rifiuti a Roma, ma soprattutto i guai giudiziari piovuti alla fine anche sulla testa della stessa Raggi. Le bandiere dell’onestà e dell’etica pubblica sono stati i principali cavalli usati dal M5S contro i partiti tradizionali.
Roma e dissidenti sono i due principali problemi di Grillo. Dal suo potente blog su internet, in precedenza, aveva rilanciato: tutto il potere agli iscritti al M5S. In particolare tutto il potere alla democrazia del web, alla “democrazia diretta”, alle votazioni online per decidere linea politica, candidature e programmi elettorali. Grillo era tornato a ripetere: «Sono gli iscritti a dettare la linea politica del MoVimento, i portavoce devono semplicemente attuarla».
Per i dissidenti, compresi i parlamentari e gli amministratori locali, praticamente delineava una sola soluzione: fuori dal Movimento 5 Stelle. Il garante dei cinquestelle precisava: «Chi non sarà d’accordo con il programma definito dagli iscritti, potrà perseguire (se riuscirà ad essere rieletto) il suo programma in un’altra forza politica».
In sintesi: va sempre rispettata la volontà degli iscritti espressa nelle votazioni online. Ma non sempre va così. Alcune volte, come è successo qualche giorno fa, la democrazia del web è ignorata o stravolta. L’8 gennaio gli iscritti pentastellati, su proposta di Grillo, hanno detto sì, con una maggioranza schiacciante del 78,5% dei voti, al passaggio degli eurodeputati del M5S dal gruppo degli euroscettici di Nigel Farage (Efdd) al gruppo liberale (Alde) di Guy Verhofstadt. Ma dopo l’altolà di Verhofstadt all’adesione (soprattutto per le critiche degli europarlamentari francesi e tedeschi), c’è stato il dietrofront di Grillo.
Il capo del M5S, sempre sul suo potente blog, prima aveva accusato le classi dirigenti europee: «L’establishment ha deciso di fermare l’ingresso del MoVimento 5 Stelle nel terzo gruppo più grande del Parlamento Europeo», cioè l’Alde. Poi annunciava la marcia indietro: ha rinnovato l’adesione al gruppo di Farage «rinunciando alla carica della co-presidenza che fino ad oggi è stata occupata da David Borrelli». Spiegava: «Fallito l’accordo con il gruppo Alde, abbiamo rispettato la volontà espressa dalla rete applicando la seconda scelta più votata dai certificati: rimanere nel gruppo Efdd».
Già, ha ripiegato sulla “seconda scelta”. Ma mentre per entrare nell’Alde, su 40.654 votanti, si erano espressi 31.914 iscritti, la larga maggioranza, per restare nell’Efdd si erano pronunciati solo 6.444. I liberali del Parlamento europeo hanno motivato il disco rosso all’ingresso dei cinquestelle per i programmi molto diversi, in qualche caso contrapposti. L’Alde, infatti, è tra i gruppi parlamentari più filo europei, è tra i più decisi sostenitori dell’euro. Il M5S, invece, è molto critico con la moneta unica europea e progetta un referendum per far uscire l’Italia dall’euro.
Di qui la rottura. Di fronte al fallito accordo con l’Alde, però, forse era preferibile aprire ancora le urne su internet e far pronunciare di nuovo gli iscritti. Non c’è stato, invece, il ricorso alla “democrazia diretta”. Grillo ha preferito ripescare “la seconda scelta”. Le critiche a questa decisione sono state molte. Alcuni deputati europei, per protesta, hanno lasciato il M5S. La democrazia diretta è una regola fissa, non funziona ad intermittenza.