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L’insostenibile silenzio sull’Agcom

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#ilprincipenudo (www.isicult.it). Elezione del Commissario Agcom vacante dopo la morte di Antonio Preto a novembre: prevista per mercoledì 25 gennaio in Aula al Senato. Ancora una volta, nessuna logica di trasparenza e procedure tipiche della (peggiore) vecchia politica. Perché il Presidente del Senato non rimanda l’odg e promuove una procedura simile a quella adottata dalla Presidentessa della Camera nel 2013, con un invito ad auto-candidarsi ed un minimo di comparazione selettiva?!

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult)

Dopo settimane di incredibile silenzio, e con un ritardo incomprensibile, nella mattinata di mercoledì prossimo 25 gennaio 2017, l’Aula del Senato ha finalmente inserito all’ordine del giorno l’elezione, “a scrutinio segreto mediante schede”, di un Commissario dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, dopo che il posto è divenuto vacante, a seguito della morte del giovane Antonio Preto, avvenuta il 3 novembre 2016 (vedi “Key4biz” del 4 novembre, “Costernazione per la scomparsa del Commissario Agcom Antonio Preto”).

Quel che appare veramente grave in termini istituzionali e politici, intollerabile in un regime democratico, è l’assoluta totale assenza di pubblico dibattito intorno a questa nomina: ancora una volta, nessuna logica di trasparenza e rinnovo di procedure tipiche della (peggiore) vecchia politica.
Eppure, dal 4 novembre 2016 al 25 gennaio 2017, il calendario conta ben 83 giorni: un lasso temporale più che sufficiente – volendo – per promuovere un pubblico dibattito su una elezione che appare delicata e strategica.

Eppure, nessuno sembra aver voluto dedicare attenzione alla vicenda: se è comprensibile, da un lato, una qual certa delicatezza (il rispetto per l’elaborazione del lutto), è un dato di fatto oggettivo che, dall’altro lato, dopo qualche settimana la questione poteva essere inserita all’ordine del giorno dell’agenda politica (magari dopo il referendum del 4 dicembre). Così non è stato, non almeno nei consessi pubblici.
La questione è certamente stata oggetto di trattative riservate in segrete stanze. Ribadiamo: c’erano i tempi tecnici per stimolare un dibattito democratico e trasparente, anche volendo attendere lo “spartiacque” del referendum del 4 dicembre.

Dopo un paio di settimane dalla morte di Preto, abbiamo infatti scritto su queste colonne (vedi “Key4biz” del 18 novembre 2016, “Agcom e par condicio: in Consiglio una frattura che viene da lontano”): “Si apre però ora, al di là del referendum, un’altra partita importante per il futuro dell’Agcom: la sostituzione del compianto Commissario Antonio Preto. Non si ritiene che democraticamente, su 5 commissari, almeno 1 debba “rappresentare” o comunque fare riferimento ed essere espresso da quella vasta area “non governativa”, pur in minoranza in Parlamento (ma non si sa quanto nel Paese attuale), che va dai dissidenti del Partito Democratico a Sinistra Italiana al Movimento Cinque Stelle? L’elezione di un Commissario Agcom esponente di quell’area eterogenea, magari una personalità indipendente con un curriculum qualificato su queste tematiche, è una sfida che il Parlamento dovrà presto affrontare. Rispetto ai tempi prevedibili, si ricorda che il Commissario Maurizio Décina si dimise (per ragioni personali) il 4 settembre 2013, e il suo successore Antonio Nicita è stato eletto il 14 novembre 2013. Quel che è veramente incerto è prevedere oggi che maggioranza si andrà a determinare in Parlamento, anche su questa vicenda, dopo il 4 dicembre prossimo…”.

L’indomani 19 dicembre, il collega Aldo Fontanarosa dedicava su “la Repubblica” un trafiletto intitolato “Un grillino per l’Agcom. Ma il Governo cerca giuristi”, ricordando che “i 5 Stelle non sono ancora rappresentati in Agcom e faranno pesare, in questo passaggio, la forte presenza in Parlamento”.
Secondo le letture più diffuse (con tutte le semplificazioni e distorsioni del caso), dei 5 Commissari Agcom ben 2 erano (sono) senza dubbio “centristi” e vicini alle posizioni di Forza Italia alias Mediaset: si tratta di Antonio Martusciello (già dirigente di Publitalia, tra i fondatori di Forza Italia e Sottosegretario in un Governo Berlusconi; il 28 luglio 2010 era stato già eletto dal Senato in sostituzione del dimissionario Giancarlo Innocenzi, dimissioni avvenute il 24 giugno, a seguito delle polemiche sulle pressioni esercitate per la chiusura di “AnnoZero” di Michelòe Santoro; Martusciello è stato rieletto dal Senato nel luglio 2012), e giustappunto il defunto Antonio Preto (tra l’altro già Capo di Gabinetto di Antonio Tajani); centrista, ma non schierato “meccanicamente” con Forza Italia/Mediaset, Francesco Posteraro (già Vice Segretario Generale della Camera, indicato dall’Udc di Casini, e poi sostenuto anche dal Pd). Bollati invece come “non amici” di Cologno sia il Presidente Angelo Maria Cardani (“in quota” Mario Monti) sia il Commissario Antonio Nicita (espresso dal Pd). Se, andando oltre le “etichettature” convenzionali, si osserva seriamente la concreta fenomenologia dell’Agcom, si può senza dubbio sostenere che il Commissario Nicita appare come il più effervescente e meno irreggimentato.
Al di là del nostro (modesto) invito, non sembra proprio comunque che, nemmeno all’indomani dei risultati del referendum, la questione dell’elezione del post-Preto abbia suscitato l’attenzione dei “decision maker” né degli opinionisti politici.

La questione viene alla ribalta improvvisamente, soltanto a pochi giorni della nomina, tardivamente calendarizzata, per il 25 gennaio prossimo. Perché 83 giorni per la… calendarizzazione? Erano stati poco meno di 30 i giorni tra le dimissioni di Innocenzi e la elezione di Martusciello, nel luglio 2010. Erano stati 70 giorni tra le dimissioni di Dècina e la elezione di Nicita, nel novembre 2013. Misteri del Palazzo!
Il defunto commissario era stato eletto “in quota Forza Italia”, e, secondo alcuni, questo partito rivendica quindi la nomina di una “persona gradita”.

Si ricordi che, in questa fase politica, si cuoce a fuoco lento il destino di Mediaset, nella complessa vicenda Vivendi, e si osserva una qualche convergenza tra Partito Democratico e Forza Italia, condeterminata certamente dalla difesa del gruppo di Cologno, in un Paese che sembra peraltro aver seppellito il concetto stesso di “conflitto di interessi”. Il 21 dicembre 2016 Agcom ha aperto una “istruttoria”, la cui conclusione è prevista entro 4 mesi (che potrebbero peraltro essere prorogati di due) ovvero entro il 21 aprile 2017: l’Autorità ha in effetti il potere di poter vietare l’operazione Vivendi, ma deve prima verificare se alcuni limiti di legge verrebbero ad essere vietati dalle iniziative in corso. La partita ruota anche intorno al sempre controverso “Sic”, il “Sistema Integrato delle Comunicazioni”, che, finora, s’è comunque dimostrato un paravento tecnico per “radiografare l’esistente” (come si usò dire sia della “legge Mammì” sia della “legge Gasparri”). Le parti (Mediaset e Vivendi) hanno avuto tempo fino al 21 gennaio per presentare tutta ad Agcom la documentazione a difesa delle rispettive posizioni.
La fase è senza dubbio di grande turbolenza: la vicenda Mediaset-Vivendi ha ricadute importanti per l’economia e la politica nazionale, ben oltre il “perimetro” specificamente mediale. I poteri forti sembra richiedano all’Agcom di mantenere il suo ruolo ormai storico di… conservatore dell’esistente, ovvero di manutentore tecnico della conservazione.

In questi ultimi due giorni, dopo settimane e settimane di assordante silenzio, la questione “elezione Agcom” ha improvvisamente acceso gli animi, ed ha finalmente suscitato l’interesse anche dei media “mainstream”. Fino a domenica sera, in verità soltanto dei quotidiani “la Repubblica” (con un richiamo addirittura in prima pagina) ed “il Fatto Quotidiano” ed “il Messaggero”: curioso il silenzio di tutti gli altri. E, ancor più curioso, silenzio anche sul web…

Da sabato scorso (ieri l’altro), tra i candidati che vengono accreditati – secondo le voci di ballatoio – si segnalano Vito Di Marco (consulente della piattaforma Tivùsat, giornalista vicino al Paolo Romani, di cui ha coordinato la segreteria tecnica quando era Ministro), Roberto Sanbuco (già Capo del Dipartimento delle Comunicazioni al Ministero dello Sviluppo dal 2009 al 2013, con gli esecutivi Prodi/Berlusconi/Monti), Mario Antonio Scino (avvocato dello Stato, ex Segretario Generale dell’Autorità dei Trasporti e all’Energia, varie esperienze come Capo del Legislativo di diversi ministeri), Raffaele Tiscar (da pochi giorni Capo di Gabinetto del Ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti, dopo aver lasciato Palazzo Chigi da Vice Segretario Generale con Renzi). Sambuco ha smentito con un tweet, dichiarandosi di “non essere minimamente interessato”.
Tra gli “outsider”, permane in gioco Sergio Bellucci (mediologo e tecnologo, già Responsabile Cultura e Media di Rifondazione Comunista, coordinatore del think-tank Net Left), nella ipotesi che si registri una convergenza concreta tra Sinistra Italiana, la minoranza del Pd, e finanche il Movimento Cinque Stelle, rispetto all’esigenza (comprensibile, in una democrazia sana) di eleggere una persona, tecnicamente qualificata, che sia sganciata dalle logiche del duopolio-triopolio (Mediaset-Rai-Sky) e sia indipendente dalla maggioranza di governo (quella ufficiale e quella “ombra”), e che pur faccia riferimento a quell’eterogenea area politica. Secondo alcune voci, comunque, i grillini non intendono sostenere il voto di alcun proprio “rappresentante”, ma semmai di una persona qualificata ed indipendente, come avvenuto invece in relazione alla nomina di Carlo Freccero nel Cda Rai (in quel caso, fu il Presidente della Vigilanza Fico a chiedere a Freccero la trasmissione di un cv). Il loro concetto-chiave resta “merito e non appartenenza” (concetto in verità invocato retoricamente un po’ da tutti, anche da chi predica bene e razzola male).
Secondo alcuni, la nomina sarà, alla fin fine, comunque esclusivamente frutto di un patto occulto tra Paolo Gentiloni e Silvio Berlusconi. Nel primo pomeriggio di domenica (ieri), il Partito Democratico ha sentito l’esigenza di diramare una nota per la stampa, nella quale ha smentito l’ipotizzato accordo con Forza Italia, annunciando che il Pd “presenterà un proprio candidato, auspicando che su quel nome si trovi un ampio consenso anche degli altri gruppi parlamentari”. La nota dell’ufficio stampa del Pd recita ancora: “Il Partito Democratico smentisce i maniera decisa le voci rimbalzate sui giornali di un accordo con Forza Italia sull’Agcom”.
Sempre domenica 21 gennaio, il Movimento Cinque Stelle ha invitato il Presidente del Senato Pietro Grasso a farsi “garante di una selezione trasparente”: l’auspicio non può che essere condiviso. I componenti grillini della Vigilanza Rai hanno auspicato una trasparenza “che possa impedire una logica lottizzatoria. Il modo in cui i partiti hanno occupato le autorithy in questi anni è stato un vero e proprio atto di violenza istituzionale, cui il M5s si oppone da quando è in Parlamento. Chiediamo vengano raccolti in modo trasparente i curricula in modo da scegliere in base al merito e non all’appartenenza”. Curiosamente, nessuna traccia di questa istanza sul blog del Presidente della Vigilanza Roberto Fico, l’ultimo cui post risale al 16 gennaio.
Che posizione assumerà il Sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli?! Ci piace qui ricordare quel che scriveva Giovanni Cocconi, suo attuale portavoce, sulle colonne dello scomparso quotidiano della Margherita “Europa”, il 25 settembre del 2013 (in un articolo intitolato “Agcom, ora il Pd scelga la competenza”): “Ci si riempie la bocca di parole come meritocrazia, curriculum, competenza, e poi il rischio è sempre quello di scivolare sulla nomina del politico trombato, sull’amico da ricollocare, sul commissario da poter chiamare al telefono”. Si ricordi anche l’editoriale di Raffaele Barberio intitolato significativamente “Agcom in bilico: dalle dimissioni di Dècina una slavina che potrebbe riconfigurare l’intera Autorità?” (vedi “Key4biz” del 4 settembre 2013).

Nel novembre 2013, la nomina/elezione di Antonio Nicita (dopo le dimissioni di Maurizio Dècina per ragioni personali, avvenute il 4 settembre) avvenne dopo un aspro scontro infra-Pd: il candidato più accreditato sembrava essere l’ingegner Antonio Sassano (dalemiano sostenuto dall’allora già renziano Paolo Gentiloni), ma la corrente allora “bersianiano-lettiana” decise di puntare su un candidato nuovo ed emerse il nome del giovane e qualificato Antonio Nicita, fortemente sostenuto dall’area dei cosiddetti “Giovani Turchi” (Matteo Orfini in primis). Sassano ottonne 80 voti, a fronte dei 130 voti di Nicita, in una votazione interna al Gruppo Pd. Il 14 novembre 2013 Antonio Nicita fu eletto dalla Camera, a scrutinio segreto, con 297 voti.

Si ricordi però che in quell’occasione la Presidente della Camera Laura Boldrini, a seguito delle dimissioni del Commissario Maurizio Dècina, aveva lanciato un appello perché tutti gli interessati presentassero la propria candidatura al Parlamento, e pervennero (entro il 10 novembre) 54 curricula.
E si ricordi anche che nel maggio del 2012 ben 80 parlamentari, in logica “bi-partisan” (o “no-partisan”) avevano rivolto un appello all’allora Presidente della Camera Gianfranco Fini affinché venisse adottata una procedura trasparente per l’elezione dei componenti dell’Agcom. Spiegava allora Giuseppe Giulietti (portavoce di Articolo21): “la cosa incredibile è che non c’è confronto sui quattro commissario, mentre sarà discussa la nomina del Presidente. È un meccanismo inammissibile”. Il 22 maggio 2012, il Presidente della Camera dispose il rinvio della votazione sui primi due componenti di AgCom (dapprima calendarizzato per il 23 maggio), chiedendo a deputati e gruppi parlamentari di presentare entro il 1° giugno 2012 le eventuali candidature corredate del relativo curriculum: quella decisione di dilazione temporale fu ritenuto un successo da parte dei soggetti che peroravano la causa della trasparenza (da “Open Media Coalition” a “Key4biz”). Con modalità e tempi che furono comunque oggetto di polemiche contestazioni, le auto-candidature pervennero (alcune sostenute pubblicamente anche da “Key4biz”): giunsero alla fine alla Presidenza della Camera 90 curricula, ma il 6 giugno 2012 venne eletto il nuovo Consiglio, con una rinnovata indubbia spartizione partitocratica, nella logica di sempre del mitico “manuale Cencelli”: Antonio Martusciello e Antonio Preto “in quota” Forza Italia, Antonio Posteraro “in quota” Udc (con benedizione Pd), e Maurizio Dècina “in quota” Pd. Quella elezione fu contestata da Sel, dai Radicali, dai Verdi, l’Idv non partecipò alla votazione. Eppure fu data chance di inviare i curricula al Parlamento, seppur con modalità controverse, e Antonio Di Pietro, Nichi Vendola, Marco Beltrandi e Arturo Parisi, a seguito delle elezioni, annunciarono un ricorso al Tar (di cui non s’è peraltro poi più avuto notizia), in un’infuocata conferenza stampa, denunciando che “centinaia di candidature non sono state prese in considerazione, le scelte fatte non hanno seguito i minimi criteri di competenza richiesti dalla legge”. Sentenziò Antonio Di Pietro: “è stata una presa in giro, si sono fatti inviare i curricula, poi li hanno usati come carta da cesso”. E Beppe Grillò auspicò “la chiusura dell’Agcom”. Vincenzo Vita, già Sottosegretario alle Comunicazioni con il Governo Prodi dal 1996 al 2001, e senatore del Pd dal 2008 al 2013, manifestò il proprio “disagio per il metodo seguito per la scelta dei membri dell’Agcom e dell’autorità sulla Privacy. Dopo aver avviato giustamente la procedura delle candidature con l’invio dei curricula sarebbe stato doveroso prendersi un po’ di tempo per una discussione di merito sui criteri da seguire per le scelte. Andava chiesto un lieve slittamento delle sedute di Camera e Senato per permettere ai parlamentari di confrontarsi sulle ipotesi nominative. Così come andava discussa nell’intero centrosinistra la scelta delle personalità da eleggere. A questo punto vanno davvero rivisti i criteri di nomina, figli di una stagione politica che non c’è più”.

Persino Frank La Rue, relatore speciale dell’Onu per la libertà di opinione, aveva ritenuto, nel maggio 2012, di scrivere al Governo italiano per manifestare la preoccupazione per il rischio di “assenza di trasparenza” nella nomina dei componenti dell’Agcom: in una lettera indirizzata all’allora Sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura (Governo Monti), La Rue segnalava di aver già sollecitato il Governo italiano e il Parlamento ad aprire il processo di nomina al pubblico, rendere accessibili le informazioni sui candidati e il loro curriculum, e di offrire in questo modo un messaggio significativo di trasparenza, partecipazione e libertà di espressione.

A questo punto, una domanda naturale sorge spontanea, alla luce delle esperienze pur problematiche ed erratiche finora maturate: trattandosi di una elezione sostanzialmente simile a quella che la Camera ha dovuto affrontare dopo le dimissioni di Dècina, non ritiene il Presidente del Senato Pietro Grasso che si debba seguire un criterio minimamente trasparente e magari di pur minima valutazione comparativa, come quello a suo tempo avviato dalla sua collega Laura Boldrini?!

Senza dubbio il processo di invito alle candidature (presupposto necessario eppur non sufficiente) può divenire la foglia di fico di decisioni comunque assunte con criteri non meritocratici, ma – di grazia! – almeno stimola un minimo di dibattito pubblico.

In verità, il sistema corretto c’è, e sarebbe finanche semplice (volendo), e non dobbiamo certo insegnarlo noi al Presidente del Senato della Repubblica: avviare una trasparente procedura pubblica, con tempistiche ragionevoli, con definizione precisa dei pre-requisiti previsti dalla legge, raccogliere i curricula, prevedere un’audizione di fronte alle Camere, in occasione della quale i candidati siano tenuti ad esporre la propria vicenda professionale, e siano finanche sottoposti ad un fuoco di fila di domande, per accertare preparazione ed indipendenza. E poi che il Parlamento elegga, finalmente con cognizione di causa ed in libera coscienza.

Sia ben chiaro: una simile procedura “concorsuale” non è, ahinoi, un obbligo di legge, ma – riteniamo – rappresenterebbe un’importante opportunità di crescita per la democrazia.
Lo sappiamo: forse chiediamo troppo, in questa tanto democratica nostra Italia.

Un segnale coerente con la doverosa cultura della trasparenza può essere concretamente dato dal Presidente Pietro Grasso: che nelle prossime ore rimandi quanto previsto all’ordine del giorno dell’Aula di Palazzo Madama di mercoledì 25 gennaio, di un lasso temporale congruo (almeno un paio di settimane) per promuovere una seria iniziativa prodromica all’elezione del nuovo Commissario Agcom, avviando una procedura pubblica innovativa finalmente all’altezza delle aspettative della società civile.

 


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