Legge Bacchelli: un riconoscimento alla Scuola di Riccardo Orioles

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“Riccardo è il migliore di Noi”. Dice Claudio Fava nel documentario di Luca Salici col quale si chiede l’applicazione della Legge Bacchelli in favore di Riccardo Orioles. Cronista al Giornale del Sud. Cofondatore dei Siciliani al fianco del direttore Giuseppe Fava, ucciso dalla mafia militare catanese in nome e per conto della mafia dei colletti bianchi all’ombra dell’Etna una sera fredda e piovigginosa il 5 gennaio del 1984. Dopo la morte di Pippo Fava, dopo ogni riunione, ogni pranzo, ogni festa, ogni bevuta, ogni cena, il mantra di Riccardo è sempre stato: “Adesso non c’è tempo per piangere, dobbiamo lavorare”. Una sorta di navigare necesse est pronunciato ad ogni piè sospinto tralasciando la seconda parte della frase di Pompeo tramandata da Plutarco: vivere non necesse.

Navigare, Riccardo ha navigato tanto. Tutto continua con lui, come scrisse Franco Fortini. Prosegue nella fase entusiasmante di Avvenimenti. Prosegue con i Siciliani giovani, Casablanca, l’interregno di Libera Informazione alla morte di Roberto Morrione, la Periferica, Telejato e via via narrando modelli di comunicazione. Traccia un solco profondo, lo riempie di contenuti al punto da renderlo navigabile alle navi. Il nostro Pompeo-Riccardo.

Una flotta eterogenea. Tante barche, un po’ bizantine, con marinai di lingue diverse, talvolta incomprensibili tra loro, talvolta incomprese dalla riva dove i potenti e i loro servi addobbati a festa come asini il dì di Pasqua continuano a menar sassi e scoccar frecce. Ciurme così improbabili e rotte alla ventura da imbarcare, talvolta, persino me.

Tant’è. Dopo la morte del Direttore. Ogni qualvolta Riccardo scandisce il navigare necesse est nel suo intimo applica il karma del vivere non necesse. Una casa? non serve. Basta un divano in redazione. Costa troppo il riscaldamento? Non si paga più. Ecco l’amica catanese, arriva in redazione con la stufetta elettrica. Con la speranza che almeno la luce qualcuno continui a pagarla. Mangiare tutti i giorni non è necessario. In fondo la fame è l’anticamera della morte. Un modo per restare fisicamente vicino al Direttore. Una fame epica, letteraria, quella del migliore giornalista antimafia d’Italia. Provata dormendo su una panchina alla stazione. O sotto casa di un amico al quale non vuol arrecare disturbo. E quando, scorgendolo, quello gli dà concreto aiuto, la reazione di Orioles è sfuggente, privata. Ancora una volta tanto epica e altrettanto letteraria da poter descrivere con le parole del premio Nobel norvegese Knut Hamsun nel suo Fame: “Non avevo più smesso di tremare per tutto il corpo e continuai dopo il pianto ad essere scosso di quando in quando da profondi singhiozzi”. L’inedia come strumento di consapevolezza è la cifra stilistica di Riccardo Orioles senza la quale non puoi comprendere i suoi esaltanti “attacchi”. Spiega l’urlo, il tanto per abbaiare, il rigore fondamentalista del suo essere giornalista antifascista e antimafioso.

Con Riccardo tutto continua. Prosegue senza di Noi. Noi distratti, noi narcisi, noi inseguiti dalle beghe della quotidianità. Affitti da pagare, debiti da onorare, scadenze da rispettare. Riccardo è sempre un passo avanti col papillon e il bastone puntato verso un obiettivo. Come un comandante di Cavalleria, incita alla carica questo manipolo di giovani e vecchi troppo impegnati a studiare, lavorare, migrare per gli studi. Migranti per lavoro, studiano e lavorano per meglio comprendere le migrazioni.

L’obiettivo della Cavalleria è sconfiggere i Cavalieri dell’Apocalisse e quel tanto che resta sommerso del loro apparato di consenso e oppressione del dissenso. Un Comandante scomodo perché non arretra. Vuole al suo fianco combattenti anche scalcinati ma coraggiosi. Scaccia i rampanti. Vadano al circo con i più degni clown. Qui si rischia la vita, la libertà, il futuro delle generazioni.

Abbiamo riso tante volte insieme del giornalismo rampante. Le carriere fulminanti agganciate al carro politico, sindacale, imprenditoriale, purché vincente. Pagate con reticenza. Cosa sarà mai qualche verità in meno in un mondo di corrotti? Bisogna fare in fretta. Bruciare le tappe. Autosospendere le coscienze. Orioles paga con l’indigenza il prezzo per le scomode verità rivelate. Quello che insegna Riccardo è un giornalismo senza compromessi. Partecipato, urlato. Non comodamente accovacciato nell’anticamera di una Procura. Piuttosto un giornalismo che mette in subbuglio la Procura. Indaga, mette a nudo contraddizioni, svela rapporti indicibili tra magistrati, politici, editori e sindaci: nel 2011 come nell’81. Perché i Gattopardi sono sempre in agguato. Orioles non li teme. Li svela, li sbeffeggia. Organizza manifestazioni contro il patto scellerato che offende e avvilisce Catania, la Sicilia, l’Italia.

Orioles è il migliore di Noi, quello che più ha sofferto e più pagato. Ciò non basta a giustificare l’applicazione della Legge Bacchelli. Riccardo Orioles col bastone da maresciallo, la gavetta fredda e vuota, ha insegnato il mestiere di giornalista a generazioni di aspiranti cronisti. Non bastano le quindicimila firme della petizione. Orioles va insignito con la Legge Bacchelli perché questo maestro di color che sanno ha fatto la differenza. In Italia ha fatto scuola. Di vita e di giornalismo. Noi, tutti, siamo in debito. Il Paese intero è in debito con lui. Sì. Mandiamo in pensione Riccardo. Non perché è il migliore. Perché ci ha reso migliori.


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