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La strage silenziosa che il mondo non vede

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In Etiopia è in corso una violenta repressione da quasi due anni contro le etnie oromo e amhara: 500 morti, migliaia di arresti e 14 giornalisti in manette. Il gesto clamoroso dell’atleta Feyisa Lilesa alle Olimpiadi di Rio 2016 ha tentato di squarciare il velo di silenzio della comunità internazionale.

di Enzo Nucci (corrispondente della Rai per l’Africa sub-sahariana)

Olimpiadi di Rio 2016, finale della maratona. L’atleta etiope Feyisa Lilesa solleva le braccia e le incrocia sulla testa, come se fossero ammanettate, mentre taglia il traguardo conquistando la medaglia d’argento. Stupore, sconcerto. Ripete quell’oscuro gesto anche durante la premiazione, richiamando alla memoria una immagine-simbolo degli anni della contestazione: i pugni chiusi guantati di nero alzati al cielo dai velocisti di colore statunitensi sul podio delle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968. Sono così bastati pochi secondi per squarciare in diretta televisiva planetaria il velo di silenzio su una strage silenziosa che da anni si consuma in Etiopia.

«Il governo sta distruggendo gli oromo come me. Sta prendendo le sue terre e le sue risorse. Il governo di Addis Abeba sta uccidendo la mia gente, i miei parenti sono in prigione e se parlano di diritti democratici vengono uccisi. Ho alzato le mie mani per sostenere la protesta», spiega ai microfoni. Il silenzio è rotto.

Due mesi dopo (il 2 ottobre) la visita in Italia di Mulatu Teshome Wirtu, presidente della Repubblica federale democratica di Etiopia, e l’incontro istituzionale con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sono stati “rovinati” dalla notizia della morte di 175 manifestanti uccisi nella calca generata da una violenta reazione della polizia durante una manifestazione di protesta contro il governo nella cittadina di Bishoftu.

Denunciavano la repressione in atto da quasi due anni contro le etnie oromo ed amhara scandendo slogan contro il Fronte popolare di liberazione del Tigrè (Tplf), il principale partito della coalizione al potere da 25 anni. In particolare contestavano il piano annunciato nel novembre del 2015 dall’esecutivo (poi ritirato) che prevedeva l’espropriazione delle terre nella regione di Oromia (40 chilometri a sud est di Addis Abeba) per lo sviluppo della capitale, ma che avrebbe costretto all’emigrazione i contadini di queste fertili distese.

Ora però sembra di nuovo calato il silenzio su questa strage (costata più di 500 morti, migliaia di arresti e 14 giornalisti in manette), perché la comunità internazionale tende a nascondere sotto al tappeto un problema che rischia di bloccare la circolazione di ingenti flussi di capitale e minare la sicurezza in una regione chiave (il Corno d’Africa) scossa dalla furia islamista. L’Unione europea in primis ha ribadito di voler continuare ad essere il primo partner economico dell’Etiopia: sul tavolo le risorse per fronteggiare la siccità e la gestione dei 750mila rifugiati affidata ad Addis Abeba. Quindi nessuna sanzione ma solo generici ed inoffensivi «appelli alle parti in causa per fermare la violenza». Poco meno insomma di pezzuole intrise d’acqua per bloccare una febbre devastante.

Il governo etiope vuole imporsi come il gigante del Corno d’Africa. Per questo la nazione sta conoscendo un boom edilizio senza precedenti: nuovi edifici governativi e bancari, centri commerciali, eleganti residenze private ed immensi quartieri di case popolari, imponenti infrastrutture, linee ferroviarie che uniranno la capitale con Gibuti e le regioni di sudest con il nord del paese. Ed anche una metropolitana (la cui realizzazione è affidata ad aziende cinesi) ad Addis Abeba: sarà la prima del suo genere nell’Africa subsahariana. La Banca mondiale certifica una crescita del 10% da vari anni ed include l’Etiopia tra le 10 nazioni al mondo con la più veloce espansione. Insomma una locomotiva all’apparenza inarrestabile. Ma questo sviluppo economico sta usando le risorse del territorio per produrre ricchezze destinate all’esportazione (vedi la coltivazione dei fiori di cui il paese è il secondo esportatore mondiale) che il governo usa per investire nelle aree urbane ai danni di quelle rurali, rafforzando nello stesso tempo il proprio potere.

Sul banco degli imputati la minoranza tigrina che, con un’abile politica priva di scrupoli, guida il paese da 25 anni soffiando sul fuoco delle rivalità tra le etnie amhara e oromo (circa i due terzi della popolazione etiope) che oggi però hanno ritrovato una unità politica e di azione. Ma forse i nemici peggiori della maggioranza degli etiopi sono proprio Europa, Stati Uniti ed ovviamente la Cina, preoccupati dai contraccolpi che un nuovo governo potrebbe causare in una delle aree più delicate del mondo.

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