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La memoria non va più di moda

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“Della storia, ai politici italiani non importa nulla”. L’ha detto ieri Romano Prodi, che ho ascoltato alla presentazione del libro “La Repubblica degli italiani” di Agostino Giovagnoli. Mi ha colpito questo giudizio, alla vigilia della Giornata della memoria, perché la memoria è un atto politico. Una scelta di chi vuole capire per partecipare; e partecipare per cambiare.

Ma la memoria non va più di moda.  Nelle scuole non si richiede di imparare a memoria le poesie, quei brevi copioni che facevano di noi studenti acerbi attori, interpreti di un’emozione. Nella vita, la memoria non serve, perché il web ricorda tutto per noi. Meglio riservare l’energia intellettiva per eseguire con velocità, piuttosto che per capire con profondità. Meglio vincere facendo di più, che convincere spiegando meglio.

Nella politica, la memoria vale zero. -anzi, il passato è il negativo da rottamare; mentre il presente è solo il punto d’appoggio che ci proietta nel futuro, unico luogo dove risiede il bene. Anche la coerenza va fuori corso, perché senza memoria, nessuno è tenuto a confrontarsi con il proprio passato e può reinventarsi un’identità al giorno, a secondo degli umori sociali da assecondare. Né esiste più una reputazione, perché il bene e il male non hanno un bilancio retrospettivo dove depositarsi, ma svaporano dopo pochissimo tempo. Basta una smentita – anche la più sfrontata – e si ritorna vergini, grazie all’amnesia collettiva, che non trattiene più di 24 ore di passato.
Fare memoria diventa allora una terapia civile. Ricordare le vittime dell’Olocausto, significa ricordare l’orrore che raggiunge la violenza umana, quando un capo autorizza il linciaggio di un gruppo debole, per far scaricare le frustrazioni del gruppo dominante. Fa impressione riflettere su queste atrocità il giorno in cui il presidente degli Stati Uniti d’America elogia l’uso della tortura. Cose che accadono quando va al potere un uomo senza memoria.

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