Un’ulteriore conferma dal Rapporto Italia 2017 dell’Eurispes dell’entità della disuguaglianza nel nostro paese. Pur in presenza di deboli segnali di ripresa economica e di gestione meno critica della quotidianità delle famiglie, emerge una grave situazione di disagio delle famiglie italiane in generale, in particolare per quelle del Sud, mentre è gravissima per quelle delle isole: povertà estrema e peggioramento delle condizioni di vita quotidiana nel Sud interessano il 34,6% delle famiglie, nelle isole ben il 66,5% e il 75,8% registrano un calo del potere d’acquisto.
La stragrande maggioranza delle famiglie italiane (70,5%) è costretta a utilizzare i risparmi per arrivare a fine mese, oltre la metà ha difficoltà a pagare la rata di mutuo, di locazione, le spese mediche specialistiche, un quarto percepisce di essere diventato povero.
I giovani sono i più colpiti, molti di loro sono costretti a ritornare a vivere a casa dai genitori.
Stanno bruciando il futuro di un’intera generazione!
Tutto ciò è il risultato di trent’anni di neoliberismo praticato e protetto dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca Mondiale, dalla Banca centrale europea e condiviso per tanto tempo dai governi nazionali, anche italiani, di diverso orientamento politico. L’idea che il mercato lasciato libero e senza vincoli avrebbe assicurato la crescita, che la detassazione dei profitti e della ricchezza avrebbe assicurato il benessere universale sono risultate errate. Il risultato è che l’1% possiede la maggioranza assoluta della ricchezza del pianeta, che otto persone da sole possiedono la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità.
Economisti di grande spessore come Piketty, Stiglitz, i centri internazionali di analisi ( v.anche ultimo report di Oxfam) hanno scientificamente documentato che la crescita globale è andata a vantaggio solo dei più ricchi accrescendo la disuguaglianza sociale tra i paesi e all’interno di ognuno di essi. E la disuguaglianza lacera la società, crea l’humus che favorisce l’attecchimento dei populismi, dei razzismi, delle mafie, della corruzione, della paura dello straniero. La Brexit, la vittoria inaspettata di Trump sono i frutti avvelenati della crescita della disuguaglianza interna al più ricco Occidente. Piketty dimostra che negli ultimi trent’anni i redditi del 50% più povero degli Usa sono cresciuti dello 0%, mentre quelli dell’1% più ricco del 300%, mentre ancora oggi, nel mondo una persona su nove soffre quotidianamente la fame. Contestualmente il potere collettivo di negoziazione dei lavoratori dipendenti si è indebolito a seguito di un attacco convergente tra capitale e governi subalterni alla logica di quel dio mercato finanziarizzato, sponsorizzato dal capitalismo individualista, che avrebbe dovuto assicurare la felicità terrena, rimuovere ogni disagio sociale, garantire la piena occupazione grazie alla flessibilità del lavoro e alla riduzione del welfare. Il risultato è il profitto senza alcuna finalità sociale come prescritto dalla nostra Costituzione. Sarebbe bastato e basterebbe aumentare l’imposizione fiscale per i più ricchi, contrastare efficacemente l’evasione fiscale e la corruzione, ridurre la spesa militare per ridurre subito di tre quarti la povertà estrema, ancora notevole nonostante centinaia di milioni di persone negli ultimi trent’anni ne sono uscite. Permanendo le attuali tendenze nazionali e internazionali sarà impossibile, secondo la Banca Mondiale, raggiungere l’obiettivo di cancellare entro il 2030 la povertà estrema nel mondo.
Il contrasto alla povertà e alla disuguaglianza dovrebbe avere la priorità assoluta nell’azione dei governi locali, nazionali, internazionali. Purtroppo non è così. A livello italiano ed europeo prevalgono preoccupazioni politiche tattiche in previsioni di un anno pieno di scadenze elettorali. In Sicilia si voterà per rinnovare l’amministrazione di comuni come Palermo, per il rinnovo dell’Assemblea regionale, nazionalmente dopo il referendum del 4 dicembre scorso e la sentenza di incostituzionalità dell’Italicum (quella legge elettorale che tutti ci invidiavano!) è aperto il dibattito tra coloro che vogliono votare subito e coloro che sperano nella conclusione naturale della legislatura magari per mettere in opera misure di politiche economiche e sociali per la crescita. Affrontare le questioni della povertà estrema e della disuguaglianza crescente significa immaginare e attivare politiche industriali,, ambientali, commerciali, turistiche, agroalimentari, di ricerca e innovazioni capaci di far competere meglio il sistema Italia e Sicilia in Europa, nel Mediterraneo e nel mondo. Significa riflettere sul fallimento del capitalismo familiare italiano trasformatosi in un club di rentiers per ridare,invece, nuovi stimoli a quella parte innovativa della classe imprenditoriale che non punti a realizzare profitti a scapito del lavoro e del welfare.
Dall’altro lato significa ritornare a politiche governative di concertazione e inclusive con tutte le forze sociali e i corpi intermedi di mediazione, di attivare politiche di difesa dei redditi più bassi, di introdurre redditi di inclusione, di accrescere la domanda visto che aver sostenuto solo l’offerta ha fatto crescere solo la ricchezza dei più ricchi, la corruzione e le mafie. Da questa logica è scaturita la proposta di legge regionale di iniziativa popolare del Comitato siciliano No Povertà che da oltre un anno “giace” all’ARS, dove governo e gruppi parlamentari si dilettano a discettare su future candidature e alleanze dietro le quali però non si vedono i problemi dei siciliani poveri, disoccupati, precari, emigrati. Non si rendono conto che alla fine i siciliani stufi preferiranno votare, almeno quelli che andranno, “l’asino che vola” piuttosto che loro.
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