Il tentativo di “comprimere” i diritti dei cittadini

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Quando si cita il termine “incomprimibile” di solito si pensa ad un oggetto solido, ad un manufatto. Invece, recentemente si è parlato di in comprimibilità per qualcosa che è astratto ma non per  questo meno importante. Anzi.

Ne ha parlato la Corte Costituzionale nella sentenza n. 275 del dicembre 2016, che ha parlato di “diritti incomprimibili” dei cittadini.

Per comprendere a fondo il problema è necessario fare un passo indietro nel tempo. Fino al 2012, quando il governo “tecnico”  del tecnico Monti decise di modificare la Costituzione. Con la legge 1/2012 (che modificò non uno ma ben quattro articoli della Costituzione, 81, 97, 117 e119, e senza referendum!), il professor Monti introdusse l’obbligo del pareggio di bilancio. La legge entrata in vigore nel maggio dello stesso anno era una bomba ad orologeria: le sue disposizioni infatti avrebbero dovuto aver effetto dal 2014. Per farla breve da quella data, lo stato avrebbe dovuto “assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese nel proprio bilancio”. Una cosa già teoricamente difficile da digerire, ma che avrebbe avuto effetti devastanti sui conti pubblici: nella nota infatti si legge che lo stato avrebbe potuto far ricorso all’indebitamento “solo alfine di considerare gli effetti del ciclo economico e previa autorizzazione delle Camere”. In altre parole, in base a questa legge, lo stato non avrebbe più potuto far fronte alle proprie esigenze economiche se non al verificarsi di “eventi eccezionali”. Ma in un paese gli eventi eccezionali sono molto più frequenti di quanto si possa pensare (si pensi a tutti i terremoti o calamità naturali,o alle crisi economiche e finanziarie causate dalle finanziarie estere). Indebitarsi è del tutto normale per un paese: basti pensare che durante gli otto anni del suo mandato il presidente americano Obama ha potuto fare quello che ha fatto (nel bene o nel male) sono aumentando l’indebitamento del paese in modo vertiginoso. Stessa cosa in Giappone dove, nonostante un’inflazione galoppante, la situazione appare migliore di quella di molti paesi europei.

Ma come troppo spesso è avvenuto negli ultimi anni, i governi hanno fatto le leggi ma non hanno fatto i coperchi. Così, a dicembre scorso, la Corte Costituzionale ha ribadito senza mezzi termini il principio della “incomprimibilità dei diritti”. In poche parole la Corte ha affermato che alcuni diritti (definiti “incomprimibili”) possono essere esonerati dall’obbligo di adeguarsi alla regola dell’equilibrio di bilancio. Ciò significa che lo stato ha il dovere, prima di tutto, di garantire i diritti dei cittadini prima ancora di ridurre i servizi per ridurre le spese a garantire il pareggio di bilancio. Uno stravolgimento politico, finanziario ed economico di tutto ciò che hanno fatto gli ultimi governi nascondendosi dietro lo scudo dell’obbligo del pareggio di bilancio.

Ma non basta. Accettare questo principio potrebbe portare a far giudicare incostituzionale dalla Consulta tutta la legge 1/2012 quella con cui il governo “tecnico” di Monti aveva deciso di modificare la Costituzione. Una vera e propria rivoluzione. Non è più il pareggio di bilancio a stabilire quali sono i diritti dei cittadini: sono i diritti di quest’ultimi ad imporre al governo e al Parlamento cosa fare per soddisfarli. Anche a costo di sforare il bilancio. La sentenza, emessa a proposito dei diritti dei disabili è esemplare: si pensi, ad esempio, a quanti alunni non normodotati sono rimasti privi di assistenza a causa dei tagli dei costi.

Ma la stessa cosa potrebbe dirsi per molti altri diritti (si pensi ai tagli alla sanità, alla carenza di fondi per le infrastrutture…..).

Da dazebao


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