Un’Italia in rivolta, senza rotta e senza timoniere. Il “popolo del NO” alla prova del dopo-Renzi

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Era partito per fare la guerra contro la casta, per rottamare “i vecchi” e rifare la Costituzione del ’48, ma è stato a sua volta rottamato dai “giovani” e dai difensori di quella Costituzione, creata da chi aveva sofferto il fascismo e aveva fatti propri gli ideali della Resistenza. Dura legge da contrappasso dantesco, quest’epilogo del più giovane Presidente del consiglio, quel Matteo Renzi voluto e coccolato dall’unico bis-Presidente della Repubblica nella nostra storia, Napolitano, e mai passato al giudizio di un’elezione politica generale (il terzo “tecnico” scelto dal Quirinale in tre anni!). Nella notte tra il 4 e il 5 dicembre, però, Renzi ha dovuto subire il responso amaro delle urne sul suo operato di capo del governo e sulla sua ingarbugliata riforma della Costituzione. Il 70% dei votanti è una percentuale enorme di questi tempi e il 59% dei NO è altrettanto eloquente per le sorti future della carriera di un giovane politico, nato sindaco e rimasto tale.

Rottamare o cambiare con cipiglio autoritario ciò che si ritiene “vecchio, sorpassato, inadeguato ai tempi della Rete” non significa di per sé essere innovativi, progressisti, riformatori; ma spesso in questo mondo dominato dall’esposizione mediatica, dall’immaginario trasformato in realistico dal WEB, può significare essere populisti, demagoghi. E purtroppo questa “antipolitica” paga, come si è visto in questo annus horribilis bisestile. Erano espressioni “anti-casta” nella loro propaganda virale contro i vecchi regimi, le lobbies finanziarie, gli emigranti e la globalizzazione “selvaggia” anche Farage che ha fatto vincere la Brexit e Trump che ha sconfitto la Clinton (pur perdendo ai voti per 2 milioni di elettori). Hanno vinto sulla spinta del “nuov”, ma hanno rimpiazzato la “casta”, incolpata di tutti i mali del mondo espressione degli intellettuali, i “liberals”, i giovani e i ceti medi, con la stessa “casta” espressione, però, questa volta di un gruppo di potere ancora più reazionario e miliardario. E quei due paesi, culle di secolari tradizioni liberali e democratiche, si ritrovano oggi con le rispettive popolazioni divise e sospettose l’una dell’altra.

Dalla padella alla brace!

La vecchia Europa pur litigiosa e alla deriva, invece, ha emesso domenica un lieve sussulto di orgoglio democratico. In Austria, nelle elezioni bis, il candidato “verde” espressione di tutte le forze democratiche e progressiste si è imposto sul rivale xenofobo, euroscettico e nostalgico dei tempi più neri del Novecento. In Italia, dal Sud al Nord, i giovani hanno subissato di NO chi li ha presi in giro da tre anni con leggi precarizzanti, assenza di programmi economici per lo sviluppo e l’occupazione; i meno giovani hanno fatto lo stesso, stanchi di non essere garantiti nel welfare e nell’occupazione, nel futuro pensionistico e per la perdita del potere d’acquisto. Ma anche i pensionati, tartassati e messi alla gogna come fossero una novella “casta di garantiti” e indicati al pubblico ludibrio come “affamatori” delle speranze per le giovani generazioni, anche loro si sono ribellati.

Al fianco di Renzi sono rimasti gli autodefinitisi “anticasta”: gli industriali della Confindustria, ampi settori del commercio, il sistema cooperativistico ormai monopolista della grande distribuzione e del settore delle costruzioni e infrastrutture, i grossi editori, la banche, i gruppi finanziari, i veri “poteri forti” dell’establishment internazionale, gli OTT, le grandi imprese del WEB, dei tablet, degli smartphone, delle applications, delle comunicazioni, quelle multinazionali che incassano profitti multimiliardari e sono agevolate dal pagare le tassate!

Questi erano gli innovatori su cui si basava Renzi e la sua compagnia di giro. A questi si sono ribellati i tanti, giovani e meno giovani, che spaziano in Rete sui Social Net. Se i sondaggisti di opinione avessero calcolato anche gli endorsement che da qualche mese fluivano su Facebook e Twitter, avrebbero probabilmente fornito dati statistici più veritieri di come si andava formando il dissenso contro Renzi e la sua riforma della Costituzione. Di quanta gente, ancora domenica, invitava amici e conoscenti di andare a votare, e di quanti ancora si esponevano per il NO. Anche le categorie sociali e statistiche andrebbero riviste nell’era dei Social Net: oramai, si è giovani fino a 40 anni e si comincia a diventare maturi a 50, anziani dopo i 60; tutti sanno come utilizzare la Rete e si scambiano opinioni, gusti, amicizie, foto, filmati, messaggi e comunicazioni di qualsiasi genere, senza tenere conto delle diversità di età. La Rete che sognano i governi, invece, è una Rete che viene controllata per recepirne i “metadati”, per garantire la sicurezza antiterroristica. Ma quella smisurata mole di dati non tiene conto del flusso comunicativo che scorre tra le persone reali. I grandi gruppi editoriali riescono ad imporre i loro “Campioni” sulla scena mediatica (il caso di Trump grazie alla FOX e altri giornali del gruppo Murdoch, lo stesso che ha sponsorizzato la Brexit), se dall’altra parte non si sanno opporre idee e personaggi davvero concorrenti, alternativi e accettati dal grande pubblico.

In Italia, nonostante tutta la stampa tradizionale, le reti Radio e TV pubbliche e private si fossero schierate con Renzi (anche in vista delle nuove provvidenze legate alla riforma per l’editoria e alla ridefinizione della Concessione per il Servizio pubblico), i poteri forti, la casta vera e Palazzo Chigi non hanno messo in conto il potere diffuso dei siti informativi indipendenti, dei blog, dei Social Net.

Il “popolo in rivolta” ora dovrà districarsi tra le intemperie e le tempeste politiche, evitare le trappole mediatiche e i richiami delle “sirene istituzionali”; cercare punti in comune tra diversi “sentire”, includere e non escludere; dovrà rivedere da destra a sinistra le proprie convinzioni ideologiche, mettere in discussione anche gli archetipi inviolabili del Novecento, che ci hanno diviso: europeismo ed eurocriticismo, moneta unica, mercato globale o isolazionismo, protezionismo o liberalizzazione dei mercati, migranti e xenofobia, posti fissi e lavori intermittenti, vera ricchezza e vera povertà, invidia di classe o scale sociali percorribili per tutti, cattolicesimo ed islamismo, tolleranza e reciprocità, ecc…

Non sarà facile, ma il voto sul Referendum non ci consegna un paese spaccato in due (basta fare un giro sui Social Net per rendersi conto della pacatezza dei giudizi e dell’ironia nei commenti), ma un paese in cerca di se stesso, di nuovi obiettivi concreti e comuni, di leader con “i piedi per terra” e la testa libera di immaginare un futuro per tutti, non per agevolare le solite “caste”, senza più basi d’appoggio. Senza più dividersi in vecchi e giovani, in rottamatori e rottamati, in innovatori e tradizionalisti. Il mondo corre molto più veloce dei traccheggiamenti dentro e fuori i partiti di governo e di opposizione. E’ ora di stare a sentire i desiderata dell’equipaggio sulla nave Italia e di scegliere un esperto timoniere, perché abbiamo appena lasciato il porto delle nebbie per una destinazione nuova, ma ci troviamo ancora in acque turbolenti.


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