Non ho capito. Tantissime persone rispondono così, quando si parla del referendum che si terrà domenica. Sono quelle affaticate dalla vita e dal mutuo. Da un figlio disabile e un lavoro precario. O da una pensione che non basta. Persone che non hanno la possibilità di approfondire i complicati rinvii giuridici del nuovo art. 70, perché hanno la testa affollata di preoccupazioni. E sono pedinati dalla povertà. I sondaggi li bollano come indecisi, ma sono gli esclusi. Esclusi dalla fatica di vivere, che non lascia il tempo per capire cose così complesse.
Davanti a queste persone, non mi sento di entrare nel merito del referendum con lunghi discorsi. Dico solo che la chiarezza della Costituzione è di per sé un diritto. Quello che è scritto nella Carta deve essere comprensibile a tutti. Se le nuove modifiche non sono comprensibili a molti, già ci stiamo allontanando dal suo spirito inclusivo originario. Cioè, si restringe il sapere a pochi, perché il potere sia di pochi.
Far votare il Popolo sulla modifica di circa 50 articoli della Costituzione (oppure gli oltre 50, come tentò B.) è un atto contro la partecipazione, perché alza la soglia della complessità oltre il limite della comprensione comune. Votare NO è anche un segno di reazione contro un’oligarchia chi tenta di separare la Carta dal Popolo, usando parole complicate per cambiare – in una sola volta – un terzo dei suoi articoli. Senza comprensione popolare, non c’è sovranità popolare.
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