di Daniele Garrone (professore di Antico Testamento alla Facoltà valdese di teologia di Roma)
Di origini ebraiche, ma educato in una famiglia cattolica, il grande teologo e biblista Paolo De Benedetti – scomparso l’11 dicembre scorso – coltivò per tutta la vita le due anime della sua personalità, quella cristiana e quella della tradizione ebraica.
Paolo De Benedetti – o PDB come affettuosamente in tanti lo chiamavamo – ha segnato, non solo con la sua poliedrica attività ma anche con l’inconfondibile profilo della sua persona oltre mezzo di secolo di cultura, di ecumenismo e di incontro tra cristiani ed ebrei. Volutamente non ho usato la parola “dialogo” fra cristiani ed ebrei, perché una delle lezioni di PDB era il richiamo alla a-simmetria del rapporto tra cristiani ed ebrei: mentre i cristiani non possono fare a meno di definire la propria identità in rapporto ad Israele, l’Israele della Bibbia ebraica, l’Israele dei tempi di Gesù, l’Israele di oggi e di sempre, la stessa necessità non è intrinseca all’identità ebraica.
Sono molti i fronti su cui fu lavoratore indefesso, viaggiatore inarrestabile, affascinante insegnante e conferenziere, prolifico scrittore e interlocutore sempre disponibile, sorridente e arguto. Lo guidava un detto rabbinico che gli era caro e che non a caso è anteposto come motto alla bibliografia dei suoi scritti (P. De Benedetti, A. Cini Tassinario, Fare libri. Panorama completo delle opere di PDB, Morcelliana, Brescia 2016): «Non sta a te compiere l’opera, ma non sei libero di sottrartene» (Avot II,19).
Entrato giovanissimo alla Bompiani, dove rimase diciassette anni, occupandosi in particolare del Dizionario delle opere e dei personaggi, fu poi appassionato insegnante di giudaismo in vari contesti universitari. Si devono a lui le prime pubblicazioni di opere di Dietrich Bonhoeffer in Italia (Resistenza e resa, le lettere dal carcere, e l’Etica). Di origini ebraiche, ma educato in una famiglia cattolica, coltivò per tutta la vita le due anime della sua personalità, quella cristiana e quella della tradizione ebraica, non solo approfondita con i suoi studi, ma anche empaticamente mediata ad altri, come pochi hanno saputo fare. In questo, fu per molti un vero ponte, se così posso dire, e non si poteva non essere colpiti dalla sorridente serenità con cui viveva questo suo farsi congiunzione tra le due sponde, senza mai farsi turbare dalla domanda che pure gli veniva rivolta: «Scusi, ma lei è ebreo o cristiano?».
Per tutta la vita si è occupato di questioni religiose, anche scottanti, di problemi teologici anche spinosi, con estrema serietà e competenza, sorretto da una grandissima erudizione che non dava mai a vedere, ma anche con un impareggiabile humor. Dote rara fra gli uomini della religione.
Spesso, i suoi discorsi più profondi o più arditi erano sorretti da un «se così si può dire» (si veda la raccolta di saggi Se così si può dire… Variazioni sull’ebraismo vivente, EDB Morcelliana, Bologna Brescia 2013, a cura di F. Ballabio e G. Pistone), tipica espressione della cultura ebraica con cui si sottolinea il fatto che Dio ha parlato linguaggi umani e che per PDB significava la consapevolezza del limite dei nostri discorsi, tanto più quelli su Dio, pur nella consapevolezza di doverli fare, di non potersene esentare se solo si vuole andare oltre le apparenze.
Se è possibile raccogliere in un volume l’elenco degli scritti di PDB, dai libri agli articoli, dalle poesie alle recensioni, dalle registrazioni radiofoniche agli interventi pubblici poi pubblicati, senza numero rimangono quelli che hanno trovato in lui un maestro, come suoi allievi o interlocutori, come uditori dei suoi discorsi alla trasmissione radiofonica Uomini e profeti, o ai convegni di Biblia, l’organizzazione laica per la lettura della Bibbia di cui egli non solo promosse l’avvio, ma che sostenne costantemente a vari livelli, contribuendo in maniera decisiva a farne quello che è stata ed è ancora. Sono solo due esempi, perché anche qui senza numero sono le occasioni in cui PDB ha insegnato, ha aiutato a porre domande, ha commentato la Bibbia, ha creato ponti tra cristianesimo ed ebraismo.
Il suo amore per gli animali lo ha fatto essere pioniere di un ricerca non consueta, quella di una teologia degli animali, di un riflettere anche su questo ambito, per lo più ignorato o svilito, della creazione e della redenzione di Dio (Si veda in particolare Teologia degli animali, a cura di G. Caramore, Morcelliana, Brescia 2007).
Sono certo che non è retorica pensare che, come dice un verso dei Proverbi divenuto una formula in ambito ebraico, «il suo ricordo è di benedizione».