Riforma costituzionale e legge elettorale: un percorso azzardato che ci riporta all’inizio della legislatura

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Lo scarso senso delle istituzioni che ha caratterizzato la lunghissima fase delle riforme costituzionali respinte sonoramente dagli elettori con il referendum del 4 dicembre non pare del tutto superato. Infatti, da più parti del Parlamento e nella stessa maggioranza si sono levate voci a favore delle elezioni subito, senza considerare la necessità di mettere i cittadini nella condizione di votare con modalità capaci di far loro scegliere veramente i propri rappresentanti. Ora, dobbiamo ricordare che la maggioranza, diciannove mesi fa, ha approvato – dopo che il Governo vi aveva apposto la fiducia (come era accaduto, tra molte proteste, solo nel 1953) – una legge elettorale all’epoca molto in voga alla quale era stato attribuito il nome di Italicum, evidenziando così l’assenza di leggi analoghe in altri Paesi, ma sostenendo, al contempo, che presto ce l’avrebbero copiata tutti (come dicevano perfino alcuni costituzionalisti). Invece, l’Italicum non solo non ce l’ha copiato nessuno, e fin qui pazienza, ma è stato scaricato dalla stessa maggioranza proprio mentre stava entrando in vigore (a scoppio ritardato di un anno, lo scorso 1° luglio) e oggi sembra che in molti (anche tra coloro che lo sostennero ardentemente) sperino in una sua dichiarazione di parziale incostituzionalità (che ne faccia un proporzionale come quello del Senato, seppure con alcune non insignificanti differenze, che potrebbero rendere comunque problematica la convivenza delle due leggi).

Uno dei maggiori difetti dell’Italicum (come avevamo avvertito subito) è quello di essere applicabile soltanto per la Camera dei deputati. Incredibilmente, infatti, il Governo pretese (mettendoci la fiducia) una legge elettorale per la sola Camera che avrebbe voluto lasciare eletta a suffragio universale in caso di approvazione della sua riforma costituzionale (salvo poi provare a sostenere, negli ultimi giorni di campagna elettorale, che anche i senatori sarebbero stati eletti a suffragio universale diretto). Si trattava, in sostanza, del primo caso di legge elettorale concepita in base a una Costituzione futura e incerta, con la conseguenza che se quella riforma costituzionale non fosse stata approvata in via definitiva – come poi non è stata – la legge elettorale non avrebbe potuto funzionare.

Ecco che così, per scelta del Governo uscente e della maggioranza che lo ha sostenuto, ci troviamo oggi con un sistema elettorale che non funziona: con una legge per eleggere la Camera che non solo presenta dubbi di costituzionalità (su cui la Corte si pronuncerà prossimamente) in sé, ma che ne evidenzia di ulteriori, considerando che il premio di maggioranza ottenuto in applicazione di questa potrebbe non servire a nulla, formando artificiosamente una maggioranza soltanto in una delle due Camere e non assicurando, né favorendo, la formazione di un esecutivo.

In definitiva, il Governo uscente e la sua maggioranza hanno tentato, in modo davvero approssimativo e azzardato, di fare una riforma costituzionale in base a una legge elettorale, dimenticando i fondamenti del diritto costituzionale, per cui sono le leggi elettorali che si fanno in base alla Costituzione e non viceversa. La conseguenza è che, una volta bocciata la riforma costituzionale, il Governo e la sua maggioranza ci hanno lasciato con un sistema elettorale che non rappresenta e non funziona.


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