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Referendum. L’informazione farlocca sconfitta da venti milioni di cittadini

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Referendum. L’informazione farlocca sconfitta da venti milioni di cittadini. Ora si scopre il disagio sociale. La sudditanza a Renzi. Scalfari dovrebbe chiedere scusa a Zagrebelsky. Il ruolo dei Comitati per il No e di grandi organizzazioni di massa

Eugenio Scalfari dovrebbe chiedere scusa a Gustavo Zagrebelsky e, con lui, ai costituzionalisti, ai giuristi, agli intellettuali che hanno dato un contributo di onestà intellettuale, un impegno a fondo per difendere la Costituzione, i valori che essa esprime. Lo  ho preso di mira, brutalmente, ciecamente, quando lo ha accusato di essere in combutta con i peggiori esponenti della destra, del populismo, “accozzaglia” aveva detto Renzi Matteo. A chi di costoro aveva chiesto il fondatore di Repubblica affideresti la bandiera di Ventotene, il Manifesto di Rossi e Spinelli? Non contento, proprio nel giorno del voto, scrive di nuovo che chi vota No lo fa per rabbia sociale o “si sente escluso dal successo sociale e ne soffre psicologicamente”. Il ricorso alla psicologia per definire la personalità di chi vota No è cosa esilarante. Ma sorvoliamo. Lo Scalfari prosegue nella sua orazione: “Tutti quelli che votano No se ne infischiano che la compagnia in cui si trovano sia ampiamente differenziata: c’è Forza Italia di Berlusconi, c’è la Lega di Salvini, ci sono i  Cinque Stelle di Grillo, e ci sono anche le schegge della sinistra-sinistra, insieme ad un pizzico di anarchici”. Ci manca il  richiamo alla banda Bassotti e siamo a posto. Non contento si esercita in una seduta di psicanalisi cui sottopone Zagrebelsky. La diagnosi: in lui esiste “un Io alquanto esuberante” che lo porta su strade sbagliate. Poi riflette e fa sapere che anche lui ha un Io esuberante “ma lo tengo a freno; molti non ne sono consapevoli e questo  è pericoloso se hanno un ruolo importante da sostenere”.

Quei venti milioni di No non sono “accozzaglia”, ma cittadini consapevoli del valore del voto
Un mare di sciocchezze ma, in soldoni, il fondatore di Repubblica dice quello che i media, quelli grandi ma anche taluni piccoli, i talk show televisivi e radiofonici, fanno apparire il risultato del referendum come uno scontro fra partiti, da una parte il Pd e i suoi alleati, dall’altra Grillo, Salvini, Meloni, Berlusconi, con un po’ di vecchi comunisti, qualche fascista di ritorno. È stato così per tutta la campagna referendaria e dalla lunga notte televisiva  si evince che quei milioni, poco meno di venti, di elettori che hanno votato No sono tutti agli ordini della “accozzaglia” di renziana memoria, tutti regolarmente iscritti alle forze politiche di opposizione variamente collocate. Se mezzo milione di costoro hanno in tasca una tessera di partito è già grasso che cola.

Il paese reale tagliato fuori dal mondo della comunicazione. Falsate perfino le statistiche
Proprio i “dibattiti” negli studi televisivi, le interviste in diretta, le conferenze stampa delle forze politiche, se ce ne era bisogno hanno dato una immagine della crisi che sta vivendo il mondo della comunicazione. Nella notte della resa dei conti, quando parlano i numeri, giornalisti e politici di professione, o quasi, non riescono ad andare al di là dei confini in cui si sono rinchiusi. Una informazione che non racconta il paese reale, non parla delle condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone, della “rabbia”, certo, della gente che vive nelle periferie delle città. Ti fa credere che siamo il paese di bengodi. Ti imbroglia perfino sulle statistiche che riguardano il lavoro, l’occupazione, i salari. Titoli a caratteri cubitali se il Pil cresce dello 0,1, invenzioni statistiche sulla fiducia dei cittadini, le famiglie che tornano a consumare, ci siamo perfino inventati che, insieme, può crescere l’occupazione e la disoccupazione. Poi si scopre che  le bugie hanno le gambe corte, la fiducia non aumenta. Le notizie in negativo finiscono sperdute, piccoli titoli, rubriche economiche. E l’operato del governo? Da mesi l’informazione sull’operato del governo è appannaggio di Renzi Matteo. Tutto va bene, lui va in tv e sciorina l’elenco della riforme, le famiglie felici. Ci fosse uno straccio di giornalista che gli rivolge domande, non diciamo sconvolgenti ma che perlomeno richiamino la realtà del Paese. Non solo. Ci sono mille modi di fornire informazione deformata. Durante la lunga campagna elettorale i grandi media hanno annunciato ai lettori che non avrebbero preso posizione sul referendum: un intervento  a favore del Sì e uno a favore del No. Bene. Ma se poi nelle cronache dei dibattiti, delle manifestazioni, delle iniziative, nel racconto della campagna referendaria, se ai comizi del No la presenza di tre, quattro mila persone diventa un flop, quella stessa presenza ai comizi del  Sì è definita una grande folla, si tratta di informazione farlocca, falsa.

I Comitati per il No esclusi da  giornaloni e talk show televisivi
Ancora: nella notte dello scrutinio gli studi televisivi e radiofonici abbondavano di esponenti politici e di giornalisti. E le interviste, salvo eccezioni, di fatto hanno escluso gli esponenti dei comitati per il No, primo fra tutti quello che ha lanciato la campagna contro la riforma-deforma raccogliendo l’appello di un gruppo di costituzionalisti, giuristi, intellettuali, da Zagrebeslsky a Rodotà, a Pace, Gallo, Carlassare, Onida, tanto per citarne alcuni, che risale al 2014. L’appello è raccolto da forze dell’associazionismo, di movimenti come l’associazione per il Rinnovamento della sinistra con Aldo Tortorella e Alfiero Grandi, da  giuristi, come l’avvocato Besostri, economisti, giuslavoristi. Nasce il “Comitato per il no nel referendum sulle modifiche alla Costituzione”, inizio gennaio 2015. Le forze politiche della “accozzaglia” neppure pensavano ad aprire una campagna di manifestazioni. Poi arrivano la Cgil, l’Anpi, l’Arci. Difficile trovino spazio nei media. La tv pubblica se ne guarda bene. Se ne parla solo quando qualche esponente del Pd apre una polemica contro queste associazioni che si sono permesse di esprimere la loro opinione, di promuovere iniziative di massa. Si è data loro perlomeno l’opportunità di esprimersi, da protagonisti, nella lunga notte televisiva? Manco per sogno. E a D’Alema, fra i promotori di uno dei comitati per il No, si è chiesto se ora tornava a  far politica, quasi avesse mai cessato di farla. Ma per “politica” intendevano una battaglia per qualche posto al sole, nel Pd, qualche incarico di governo, chissà. Sempre in questa lunga notte televisiva si è scoperto che in Italia esiste un “disagio sociale”. L’editoriale del direttore della Stampa affronta il problema, forse con qualche ritardo, ma meglio tardi che mai.

I giovani protagonisti della vittoria del No. Un no anche all’orda dei voucher
Ci domandiamo dove, come, quando, perché nasce questo disagio. Perché l’informazione non ce lo racconta, avrà delle cause. Perché c’è anche qualcosa di più del disagio sociale, la povertà assoluta. In questi anni renziani la crisi sociale del Paese è cresciuta, le diseguaglianze si sono fatte sempre più sensibili. Il fatto che i giovani siano stati protagonisti della vittoria del No dovrebbe insegnare qualcosa. In primo luogo a chi ha venduto il  jobs act, con la grancassa dei media, come il toccasana per risolvere il problema del lavoro. A suon di voucher, magari. Ma i media no, hanno ignorato il malessere, la protesta, la rabbia. Anzi, chi parlava di “poteri forti”, italiani e stranieri, tutti schierati per il  Sì, in gran spolvero per Renzi Matteo, attivava l’ironia a buon mercato: fate i nomi. Sono tutti lì, hanno fatto bella mostra di sé nelle pagine dei giornaloni, nelle televisioni. Addirittura l’ostentazione della ricchezza, del lusso pacchiano, diventano “pregi” della società del benessere quale ci propone la globalizzazione.

Con la mente all’articolo 1 della Costituzione: “L’Italia è una Repubblica…”
Forse, anzi senza forse, chi ha votato No aveva in mente l’articolo  uno della Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Cambiare 47 articoli della Carta avrebbe compromesso l’intero impianto. Quei venti milioni che hanno affossato la deforma Renzi-Boschi, quest’ultima bocciata anche nel suo paese natale (1014 No, 991Sì) sono particolarmente affezionati a quell’articolo. Anche noi.


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