Si chiamano “querele temerarie”. Sono i ricorsi alla giustizia da parte di chi si sente diffamato o semplicemente leso nella propria immagine contro giornalisti che fanno il loro mestiere di inchiesta e informazione. Di fatto sono una forma di minaccia, la possibilità offerta ai potenti di imbavagliare l’informazione chiedendo risarcimenti milionari.
Il più delle volte a giornalisti precari che guadagnano 3 euro a pezzo e non hanno alcuna forma di garanzia da parte di una testata cui non sono legati da un contratto che li tuteli. Comportano – tra l’altro – delegittimazione e perdite di tempo.
Per queste ragioni nei giorni scorsi la Federazione Nazionale della Stampa ha manifestato davanti a Montecitorio per sollecitare l’approvazione del provvedimento che elimina il carcere per i cronisti come peraltro richiesto dalla Corte di giustizia europea e per varare una norma legislativa che ponga un argine a questo tipo di querele divenute ormai una vera e propria arma contro il giornalismo d’inchiesta e il diritto di cronaca.
Si tratta di un fenomeno che si è esteso negli ultimi tempi producendo l’autocensura degli operatori dell’informazione. La minaccia pertanto non è contro i cronisti ma piuttosto contro il diritto dei cittadini ad essere informati, a conoscere, a crearsi un’opinione. Non è un caso che a querelare normalmente siano grandi gruppi industriali e mafiosi notori.
Ecco, già solo per aver scritto questo, qualcuno potrebbe querelarmi. Tanto a loro non costa nulla.