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Questura Roma, chiusa la sala stampa. Perché?

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E’ come se il governo chiudesse la Sala stampa di Palazzo Chigi. In poco tempo nella Capitale c’è chi ha deciso di innalzare un muro contro l’informazione. La sala stampa della Questura dichiarata “inagibile” senza che sia offerta ai cronisti altra soluzione se non quella di alcuni numeri telefonici dell’ufficio stampa. E a poche centinaia di metri, in Campidoglio, altri cronisti costretti a stazionare fuori del Comune, salvo quando c’è consiglio comunale. La sala stampa del Campidoglio è normalmente chiusa. I cronisti non hanno neanche il diritto di andare al bagno, salvo apposita autorizzazione…

Assistiamo a una ventata improvvisa di rarefazione della libertà di stampa impressa nel cuore del Paese, un processo già annunciato dalla moltiplicazione delle circolari bavaglio dentro la Pubblica Amministrazione che i dirigenti diramano tra i loro funzionari per imporre il silenzio-stampa, forzando in vario modo le disposizioni del Codice di comportamento della pubblica amministrazione che non prevede quanto stabiliscono le circolari bavaglio. Il Codice infatti dispone soltanto che il funzionario non produca affermazioni lesive dell’amministrazione, da nessuna parte si stabilisce la censura preventiva sulle dichiarazioni dei funzionari come invece vorrebbero i dirigenti che emettono le circolari bavaglio. Non ne mancano purtroppo gli esempi: la sovrintendenza archeologica di Roma pretende da ogni funzionario che siano sottoposte “preventivamente al Dirigente le modalità di comunicazione agli organi di stampa relative ad attività istituzionali’. Analoga richiesta è fatta da commissari e direttori generali di varie Asl del Lazio, che hanno messo il bavaglio ai loro dipendenti. Guai a far conoscere fatti della sanità…

La chiusura delle sale stampa così come le circolari bavaglio rappresentano dunque una nuova sfida all’informazione e sono misure inaccettabili destinate a rendere più difficile il lavoro dei giornalisti e la raccolta delle notizie, rischiando così di compromettere il rapporto tra le istituzioni e l’opinione pubblica. E’ chiaro che questo non è un problema solo per la “categoria”, che comunque sta discutendo sul da fare, ma per tutti.


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