Nel quarantennale dalla morte del grande regista milanese Luchino Visconti, avvenuta a Roma il 17 marzo 1976, Repubblica e L’Espresso hanno iniziato da sabato 3 dicembre a pubblicare con il DVD de “Il Gattopardo” la raccolta integrale di tutti i suoi film a cadenza settimanale, e dove si potranno trovare, si legge, anche “extra inediti e testimonianze dei protagonisti del nostro panorama culturale”. Regista cinematografico, teatrale e lirico, Luchino Visconti, nato a Milano il 2 novembre 1906, è stato il vero iniziatore del neo-realismo italiano con lo straordinario “Ossessione” del 1942, tratto dal celebre romanzo americano “Il postino suona sempre due volte” di James Cain, dove spostando l’originaria ambientazione di San Francisco nella bassa Padana saprà esaltare ancor di più il fascino torbido degli amanti fedifraghi Clara Calamai e Massimo Girotti. Sul filone neorealista seguiranno “La Terra trema” (1948), interamente girato con attori non protagonisti per raccontare il dramma della famiglia dei pescatori Valastro, palesemente ispirata ai Malavoglia di Verga, “Bellissima” (1950), con una straordinaria Anna Magnani nel ruolo di una madre ossessionata dal sogno di riscattare la propria proletaria esistenza, proiettando a tutti i costi la piccola e inadeguata figlia nel luccicante e cinico mondo dello spettacolo, e infine quel “Rocco e i suoi fratelli” (1960), ritenuto da molti il suo assoluto capolavoro, anche per quella Milano raffigurata così ostile da distruggere quasi l’intera famiglia lucana dei fratelli Parondi, e ispirato al romanzo “Il ponte della Ghisolfa” di Giovanni Testori.
Ma prima di “Rocco e i suoi fratelli”, pesantemente osteggiato dalle censure andreottiane dell’epoca, Visconti, già nel 1956 con “Senso”, aveva dato inizio alla sua personale rivisitazione storica del risorgimento italiano, ribadita dal sontuoso “Gattopardo” del 1963, ritenuto unanimemente tra i pochissimi film all’altezza di un libro importante. Dopo avere girato quasi interamente in teatro di posa “Le notti bianche” con Maria Schell e Marcello Mastrioanni, il ritorno al bianco e nero e a una fase più intimista gli farà vincere nel 1965 un inaspettato Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia con il controverso “Vaghe stelle dell’orsa”, dove inserisce nella magia di Volterra i volti bellissimi e molto poco etruschi di Jean Sorel e Claudia Cardinale. Due anni dopo Visconti passerà all’ultima fase del suo cosiddetto “decadentismo”, dove si colloca la trilogia tedesca con quelli che possono definirsi ancora oggi tre veri e propri capolavori: “La caduta degli Dei” (1967), “Morte e Venezia” (1970) e “Ludwig” (1973). Gli ultimi due lavori di estetico compiacimento, e forse meno ispirati, saranno “Gruppo di famiglia in un interno” (1974) e il dannunziano “L’Innocente” uscito postumo alla fine del 1976, dopo la sua morte, grazie all’impegno della sua musa Suso Cecchi D’Amico.
Allievo di Jean Renoir, comunista convinto (era definito il “conte rosso”), maestro di futuri registi come Franco Rosi e Franco Zeffirelli, eclettico come pochi altri (celebri le sue regie liriche e i suoi allestimenti teatrali al Teatro Eliseo di testi di Cechov e Cocteau), scopritore di alcuni tra i più grandi attori dell’epoca come Marcello Mastroianni, Paolo Stoppa, Alain Delon, Romy Schneider, Claudia Cardinale, Lucia Bosè, Helmut Berger, Annie Girardot, per ricordarne solo alcuni, e valorizzatore di un attore americano in disarmo come Burt Lancaster, diventato sul set il più autentico dei Principi siciliani, Visconti fu anche il mentore di Maria Callas che contribuì a trasformare da sgraziato soprano nella più straordinaria attrice di insuperato fascino e stile. Ritenuto da sempre il maestro assoluto del gusto (curava personalmente ogni dettaglio scenografico), Visconti è stato allo stesso tempo anche un grande sperimentatore innovativo. Prima della morte chiese che sulla sua tomba venisse impressa la frase “Ha amato Verdi, Proust e Cechov”, i suoi tre grandi amori. Era ricco e poteva vivere godendosi gli agi (rampollo dei Visconti di Modrone e mamma della dinastia degli Erba), da giovane ha combattuto la resistenza, è andato in Francia ad imparare il mestiere, ha inventato il neorealismo, ha innalzato ad arte cinema, teatro e opera lirica, e non c’è cosa che abbia fatto che ancora oggi non meriti di essere conosciuta e ricordata. Venendo alla interssante proposta in edicola dei suoi film, se ne caldeggia l’acquisto intero, qualora mancasse in qualche fornita cineteca casalinga, dovendo però scegliere tre imperdibili suggerisco: “Ossessione”, perché ha cambiato il modo di fare cinema in Italia (si veniva dai telefoni bianchi e Blasetti) e nel mondo, aprendo la strada a Rossellini e De Sica, “Rocco e i suoi fratelli” per lo straordinario affresco sul dramma degli emigrati meridionali nella Milano del boom economico anni ’60 con un impatto che non ha più avuto eguali e “La caduta degli Dei”, immensa saga, vagamente ispirata ai Buddenbrook di Thomas Mann, di gran lunga il più bel film storico sull’ascesa del nazismo, dove non manca di affiancare, alla grande tragedia pubblica, anche una vena privata di notevole erotismo.
Davide steccanella
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