ROMA – Una societa’ che si regge da se’, senza contare piu’ su istituzioni indebolite, e che diventa cosi’ terreno fertile per il populismo.
E’ l’Italia descritta dal cinquantesimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, diffuso oggi. Un’Italia in cui “il corpo sociale si sente rancorosamente vittima di un sistema di casta”, mentre “il mondo politico si arrocca sulla necessita’ di un rilancio dell’etica e della moralita’ pubblica” e “le istituzioni sono inermi (perche’ vuote o occupate da altri poteri), incapaci di svolgere il loro ruolo di cerniera. Si afferma cosi’ – scrive il Censis – un inedito parallelo ‘rintanamento chez soi’: il mondo politico e il corpo sociale coltivano ambizioni solo rimirandosi in se stessi”. Questa virata autoreferenziale crea una cappa di incomunicabilita’, in cui “la politica riafferma orgogliosamente il suo primato progettuale e decisionale, mentre il corpo sociale rafforza la sua orgogliosa autonomia nel ‘reggersi’. Sono destinati cosi’ a una congiunta alimentazione del populismo“. Per spezzare questa dinamica, segnala il Censis, “e’ tempo per il mondo politico e il corpo sociale di dare con coraggio un nuovo ruolo alle troppo mortificate istituzioni”.
Sono tre i processi che secondo il Censis attraversano l’Italia oggi. In primo luogo, “la societa’ continua a funzionare nel quotidiano. Non come scettica passivita’ dell’abitudine, ma come primato dell’impegno quotidiano dei soggetti economici e sociali”. Insomma, ciascuno bada agli affari propri: le imprese operano nei contesti di filiera, le famiglie coltivano i loro risparmi e i loro patrimoni, il territorio funziona da fattore dello sviluppo, il welfare cerca una faticosa quadratura per la soddisfazione dei bisogni sociali. In secondo luogo, “la societa’ rumina e metabolizza gli input esterni, volta per volta rimuovendoli o assimilandoli”. E questo “vale per il flusso crescente di migranti e la loro faticosa integrazione; per il processo di digitalizzazione (che mette in crisi l’intermediazione burocratica del ceto impiegatizio che su tale prassi aveva costruito potere e identita’); per la faticosa affermazione legislativa e giurisprudenziale dei diritti individuali”. In terzo luogo, “la societa’ cicatrizza le ferite piu’ profonde”, come la Brexit, “che appare come una crisi radicale sulla strada di una compatta identita’ europea”, o il terremoto con il suo corollario di rischi per l’economia delle aree interne. E qui il Censis vede una “pericolosa faglia che si va instaurando tra mondo del potere politico e corpo sociale, che vanno ognuno per proprio conto, con reciproci processi di rancorosa delegittimazione”.
Questa Italia in ripiegamento e’ entrata in una “seconda era del sommerso”, che il Censis definisce “sommerso post-terziario”, un “sommerso di redditi che prolifera nella gestione del risparmio cash (‘per non andare in banca’), nelle strategie di valorizzazione del patrimonio immobiliare (casolari rurali, appartamenti urbani, attici panoramici trasformati in case per vacanza, bed and breakfast o location per eventi), nel settore dei servizi alla persona (dalle badanti alle babysitter, alle lezioni private), nei servizi di ‘mobilita’ condivisa’ e di recapito, e altro ancora. E proliferano cosi’ – osserva il Censis – figure lavorative labili e provvisorie, soprattutto tra i giovani che vivono nella frontiera paludosa tra formazione e lavoro.
Questo sommerso e’ “un magma di soggetti, interessi e comportamenti, una ‘macchina molecolare’, una esplosione di molteplicita’ monadiche. Il corpo sociale finisce cosi’ per assicurarsi la sua primordiale funzione, quella di ‘reggersi’, anche senza disporre di strutture portanti politiche o istituzionali”. Perche’ “le istituzioni (per crisi della propria consistenza, anche valoriale) non riescono piu’ a ‘fare cerniera’ tra dinamica politica e dinamica sociale, di conseguenza vanno verso un progressivo rinserramento. Delle tre componenti di una societa’ moderna (corpo sociale, istituzioni, potere politico) sono proprio le istituzioni a essere oggi piu’ profondamente in crisi”, secondo il Censis. In Italia, tuttavia, rileva il Rapporto, “non hanno preso quota forti ondate di populismo neo-nazionalista, anche se ci sono robuste minoranze di arrabbiati”. Infatti, “l’uscita dall’Unione europea trova contrario il 67% dei cittadini, ma con un sostanzioso 22,6% di favorevoli e un 10,4% di indecisi.
Il ritorno alla lira e’ contrastato dal 61,3% degli italiani, ma i favorevoli sono il 28,7% e gli indecisi il 10%. Contrario alla rottura del patto di Schengen e alla chiusura delle frontiere e’ il 60,4% dei cittadini, il 30,6% e’ favorevole e gli indecisi sono il 9%”. Ma “l’89,4% degli italiani esprime una opinione negativa sui politici, appena il 4,1% positiva”. E ancora, “sono solo il 22% del totale gli italiani che dichiarano di fidarsi delle istituzioni locali, contro una media europea del 47%, con punte del 71% in Germania. La fiducia nei soggetti del governo centrale e’ del 16% (31% la media europea e 50% in Germania)”. Questa debacle della credibilita’ riguarda “tutti i soggetti intermedi tradizionali: solo l’1,5% degli italiani ha fiducia nelle banche, l’1,6% nei partiti politici, il 6,6% nei sindacati”. Una sfiducia che si estende anche a chi ha lasciato l’Italia: il 52,3% degli emigrati considera il Paese pieno di risorse ma penalizzato dalla sua classe politica. E l’81,7% di quanti si sono trasferiti in un’altra nazione sono soddisfatti della loro scelta, mentre il 62,7% considerano stabile la propria permanenza all’estero.