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Il black-out della questura e chi vuole la fine del cronisti. Le nostre colpe

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Il giro di vite contro i cronisti nella questura di Roma non è un episodio isolato. Si inquadra in un fenomeno diffuso in tempi di digitale. Al consueto silenzio di basso profilo verso le proteste dei giornalisti, si è scelto di replicare, per la prima volta, con 4 righe di laconico ma eloquente “comunicato di servizio” che tradisce il pensiero organico non soltanto alla polizia. Nel dare notizia del’inagibilità della sala cronisti, si precisa che “i rapporti con l’ufficio stampa potranno pertanto tenersi esclusivamente attraverso i noti canali di comunicazione che ad ogni buon fine  si ribadiscono”. Tradotto in linguaggio per i non addetti ai lavori, significa che, ai loro occhi, la tradizionale figura del reporter ficcanaso sia da considerarsi tramontata grazie al dominio delle tecnologie fai da te; e che, al suo posto, sieda come interlocutore  un passacarte di notizie gestite, orchestrate e etero dirette fin dal capolinea della filiera con lo scopo di renderle il più possibile funzionali alla causa del fonti. Ci sono uffici stampa sempre più folti e organizzati delle stesse redazioni dei mass-media, e che ti offrono la loro campana di informazione a getto continuo e su piatti invitanti belli e pronti. Come contraltare al servizio gratis e tutto compreso, si calano le saracinesche dell’accesso, anche agli accreditati, nelle riserve delle forze dell’ordine e degli enti locali (emblematico il caso del Campidoglio) per evitare verifiche in presa diretta.

Con la cronaca cloroformizzata può succedere che, nonostante il cittadino sia allarmato dalle scorribande della microcriminalità, si diffondano statistiche rassicuranti sul calo dei reati. Ma anche noi abbiamo le nostre colpe, le nostre responsabilità. Abbiamo permesso l’avvento e la crescita del giornalista sedentario e inchiodato al desk che, sempre più spesso cede al meccanismo del copia e incolla dell’informazione di piccolo cabotaggio per districarsi nella mole di dispacci da selezionare e da pubblicare. Chi esce dal seminato per compiere verifiche e controlli, lo fa a proprio rischio e pericolo. A parte le querele in agguato senza  più la garanzia dell’ufficialità delle fonti, la malavita ricorre alle minacce e  alle bastonature, mentre  le forze dell’ordine, quando  si sentono spiazzate o scavalcate da scoop, armano le frecce dell’intimidazione con denunce giudiziarie, sequestri di pc, perquisizioni a casa e persino arresti

In queste condizioni, e con il comportamento di editori che non vogliono grane e affrontare troppe spese, il marcamento stretto delle fonti e lo stesso mestiere del cronista diventano un’impresa. Cosicchè, giorno dopo giorno, il mondo delle spettacolo, oggi apprezzata grancassa, si impadronisce con successo delle armi delle inchieste e del controllo critico dei poteri.

I mass-media tradizionali stanno perdendo il controllo della notizia che il web produce e auto produce da sé a ritmi incontenibili, stritolandola in mezzo alle ruote di una comunicazione  prodotta da una miriade di protagonisti. Di fronte al gran caos della comunicazione, la cronaca può rappresentare  l’ultima frontiera del giornalismo da  dove ripartire per riconquistare gli spazi perduti, purchè i fatti e non le chiacchiere ritornino ad essere il cuore e il motore dell’universo informazione.


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