Non bisogna farsi ingannare dal tocco leggero di Pif, perché la serie “La mafia uccide solo d’estate” è un racconto che ha avuto lo stesso effetto “anti-mitico” di Gomorra, scritto da Saviano. Cioè far capire, una cosa semplice ma importante: che i mafiosi sono i malvagi che infieriscono suoi poveri e non quelli – come voleva la vulgata – che li difendono. E che gli “sbirri” invece si fanno ammazzare per contrastare la violenza che insanguina e sottomette intere comunità.
Il piccolo Salvatore è concentrato sulla sua compagna Alice, ma quando gira lo sguardo intorno a sé, si fa mille domande. Mentre la sua famiglia, di media borghesia, cerca di proteggerlo dalla sua curiosità. In questa serie – come nel film che l’ha ispirata – si vede come la mafia condizioni le piccole scelte di vita della gente comune, non solo i grandi traffici. Con la violenza usata per degradare i cittadini in sudditi ed elevare i prepotenti a capi. Con parte del clero, che spesso la fiancheggiava.