[Traduzione a cura di Marika Giacometti, dall’articolo originale di Jérôme Duval pubblicato su Pambazuka]
Nel mondo quasi 800 milioni di persone soffrono la fame, soprattutto nei cosiddetti Paesi “in via di sviluppo”. In questi Paesi, spariscono nei paradisi fiscali almeno 250 miliardi di euro di gettito fiscale ogni anno, si tratta di sei volte la somma annuale necessaria per combattere ed eliminare la fame entro il 2025.
“Si stima che tra l’85% e il 90% di questi patrimoni, fondi privati investiti nei paradisi fiscali, appartenga a meno di 10 milioni di persone, lo 0,014% della popolazione, e che almeno un terzo appartenga alle 100 000 famiglie più ricche del mondo, con una somma di almeno 30 milioni di dollari“, scrive l’economista americano James S. Henry. Sono i ricchi che beneficiano maggiormente della riduzione del gettito fiscale e della frode fiscale, che alimentano e inaspriscono le disuguaglianze.
La logica porta alla conclusione che i ricchi, che guadagnano tramite le loro aziende, dovrebbero contribuire alla ridistribuzione verso i poveri tramite le imposte sul reddito di queste aziende. Tuttavia, il valore aggiunto prodotto sfruttando il lavoro evapora in territori paradisiaci governati e regolamentati da oligarchie. Stiamo parlando di un furto organizzato su larga scala, illegale e contrario a ogni nozione di sviluppo umano, di una ricchezza che appartiene a chi l’ha creata lavorando e che dovrebbe finanziare i servizi pubblici. Invece, le tasse sul reddito, che non sono ridistribuite nel bene pubblico a causa dell’evasione fiscale, permettono di massimizzare il plusvalore della classe dei lavoratori, illegalmente o no, cercando di privatizzare qualsiasi cosa.
La frode ostacola lo sviluppo
L’evasione e la frode fiscale, praticate soprattutto dalle multinazionali con l’aiuto di società di revisione contabile (le celebri “Big Four“: Deloitte Touche Tohmatsu, Ernst & Young, KPMG e Price Water House Coopers), sono un flagello che blocca il progresso dello sviluppo reale per le persone impoverite da queste politiche.
Questa fuoriuscita di capitali impedisce la costruzione degli ospedali e l’assunzione di medici con un salario decente; l’acquisto di materiale scolastico e la nomina di più insegnanti così da ridurre il numero di studenti per classe; il miglioramento del sistema di fornitura dell’acqua potabile, ecc.
Il Global Financial Integrity riporta che tra il 2008 e il 2012 in 31 Paesi in via di sviluppo la fuoriuscita illecita è stata maggiore della spesa pubblica nella sanità e che in 35 Paesi in via di sviluppo è stata maggiore della spesa pubblica nell’istruzione. La stessa organizzazione nel suo rapporto “Illicit Financial Flows from Developing Countries: 2004-2013” ha rilevato che dal 2004 al 2013, i cosiddetti Paesi in via di sviluppo e le economie emergenti hanno perso 7800 miliardi di dollari (7.002.450.000.000 euro) nei flussi finanziari illeciti con un aumento sempre maggiore di fuoriuscite illecite, che sono incrementate del 6,5% l’anno in media, circa il doppio rispetto alla crescita del PIL mondiale (!).
Crescenti disuguaglianze
Moltissime necessità urgenti, essenziali per la crescita dello sviluppo reale, sono state abbandonate in favore di una classe oligarchica che continua ad arricchirsi. Il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo afferma che l’8% della popolazione mondiale più ricca si aggiudica la metà del guadagno totale, mentre l’altra metà è suddivisa tra il restante 92%. La ricchezza concentrata nelle mani dell’1% più ricco è aumentata dal 44% della ricchezza mondiale nel 2010 al 48% nel 2014. Nelle due decadi scorse, nei Paesi in via di sviluppo la disuguaglianza tra i redditi è cresciuta.
L’evasione fiscale merita la massima attenzione e soprattutto la creazione di un sistema imparziale che punisca i colpevoli. Le tasse devono essere utilizzate per lo sviluppo dei Paesi che sono stati impoveriti dal “sistema del debito”. Nel suo rapporto l’esperto indipendente sul debito delle Nazioni Unite, Juan Pablo Bohoslavsky, sottolinea la necessità di combattere i flussi finanziari illeciti che “contribuiscono all’aumento di un debito insostenibile, poiché il deficit nelle entrate del settore pubblico potrebbe spingere i governi a rivolgersi a prestiti stranieri“. Invece di indebitarsi per far fronte alla fuoriuscita di capitale a causa dell’evasione fiscale, questi flussi illeciti derubano lo Stato delle proprie risorse che avrebbero potuto finanziare attività fondamentali per l’eliminazione della povertà e per l’adempimento dei diritti economici, sociali, culturali, civili e politici.
Secondo questo rapporto, al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite è stata adottata una risoluzione sull’evasione fiscale e sulla necessità di far tornare i patrimoni rubati ai cosiddetti Paesi “in via di sviluppo”. Nel voto del 24 marzo scorso nessun Paese appartenente all’Unione Europea ha votato a favore. Il Belgio, la Francia, la Germania, i Paesi Bassi, la Svizzera, il Regno Unito, il Portogallo, l’Albania, la Lettonia, la Georgia, la Corea del Sud, l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, il Messico e Panama si sono astenuti.