Dopo il referendum, che fare?
Anzitutto va detto che con la vittoria dei No l’invasione delle cavallette non è avvenuta, la borsa non è crollata, lo spread non è salito alle stelle: si è “soltanto” dimesso il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sua scelta, dato che il referendum riguardava “soltanto” una legge di modifica della Costituzione approvata dal Parlamento.
Da quanto è accaduto possiamo trarre alcuni insegnamenti.
1) Non è bene che i Governi inseriscano nei propri programmi le riforme costituzionali. Sono materie che competono ai parlamentari e in ultima istanza al popolo sovrano. Se Renzi fosse stato più prudente e rimasto dentro i limiti della competenza del potere esecutivo, oggi sarebbe ancora al Governo. Puntare tutto sulla modifica della Costituzione e giocare d’azzardo con le istituzioni del Paese non è sicuramente indice di politica responsabile.
2) Le sentenze della Corte Costituzionale si devono rispettare e accettare fino in fondo: la legge con la quale è stato eletto l’attuale Parlamento è stata giudicata incostituzionale, perché ha prodotto “un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica”, alla quale “sono affidate funzioni fondamentali, fra le quali vi sono, accanto a quelle di indirizzo e controllo del governo, anche le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della Costituzione (art. 138)”. Che questo Parlamento abbia utilizzato proprio quel premio di maggioranza per procedere verso un’ampia revisione della Costituzione, è stato uno schiaffo in faccia alla Consulta.
3) Inserire nel titolo della legge di riforma costituzionale e utilizzare negli spot televisivi lo specchietto per le allodole del (falso) contenimento della spesa per il funzionamento delle istituzioni, non è stato onesto e alla fine non è risultato convincente. Non si può acquisire il consenso con un piatto di lenticchie: non funziona più. Di sicuro non si risolve il problema del debito pubblico (2.200 miliardi di euro) con i 2,2 milioni di euro risparmiati con la soppressione del Cnel. Ci vorrebbero un milione di Cnel per andare in pareggio. La matematica non si presta alla propaganda.
4) Chi troppo vuole, nulla stringe, recita la saggezza popolare. Vale anche per i presunti riformatori costituzionali, che anziché proporre distinte leggi di revisione, hanno assemblato un’accozzaglia di argomenti, chiedendo agli elettori un unico quesito, trasformato volutamente in plebiscito. Quando si comprime la libertà di scelta, non si arriva mai molto lontano. E così anche il buono che c’era nella legge di revisione è finito nella polvere. Si facevano passare per riformisti, ma si sono rivelati come massimalisti. O tutto o nulla. E così hanno avuto meno di nulla.
Compresa la lezione, proviamo ad avanzare una semplice proposta, affinché tutto ciò non si ripeta.
L’appello di Giuseppe Dossetti è in attesa di essere raccolto da oltre 22 anni. Con l’approvazione delle leggi elettorali maggioritarie questo autorevole padre costituente aveva chiesto di adeguare la Costituzione, richiedendo “maggioranze rafforzate per l’adozione dei regolamenti delle Camere, per l’elezione del Presidente della Repubblica, per la nomina dei Giudici costituzionali, per l’elezione dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura e infine – assolutamente fondamentale – per le proposte di revisione costituzionale ai sensi dell’art. 138 della vigente Costituzione”. Questa richiesta trovò uno sbocco nella proposta di legge costituzionale n. 2115 presentata il 28 febbraio 1995 alla Camera da Bassanini e altri 65 deputati. Tra questi c’erano Elia, Napolitano, Mattarella, Veltroni e Bindi. Nel 2006 posizioni analoghe furono espresse con chiarezza nel programma elettorale del centrosinistra e nel 2008 approvate nel Manifesto dei Valori del Partito Democratico.
Oggi, per evitare che in futuro si possano riproporre ancora (dopo i tre referendum del 2001, 2006 e 2016) unilaterali proposte di revisione costituzionale, chi ha a cuore la Costituzione come Legge Fondamentale che a tutti appartiene, dovrebbe sentire il dovere di riproporre l’appello di Dossetti. Mettere in sicurezza la Costituzione: questo il primo urgente compito che alla politica dovrebbe essere affidato dai cittadini. Riscopriamo il patriottismo costituzionale, che permeava gli animi dei Costituenti e che noi – così divisi – abbiamo smarrito. La strada delle riforme faziose, strumentali e di parte è un vicolo a fondo chiuso. La Costituzione è la via maestra della coesione e della convivenza. Occorre consolidarla, perché questa è la vera stabilità.