Nell’estate del 2015, Cristian Provvisionato interrompe le sue ferie ferragostane in Liguria per accettare una proposta apparentemente semplice e redditizia: trascorrere qualche giorno in Mauritania, il tempo sufficiente per presentare alle autorità locali un software per la sorveglianza. Da allora la madre Doina, la fidanzata Alessandra e gli altri familiari lo aspettano. Neanche coloro che considero i massimi esperti italiani di questioni africane e di sicurezza, Massimo Alberizzi e Andrea Spinelli Barrile del blog Africa Express e Stefania Maurizi del gruppo L’Espresso, sono finora riusciti a venire a capo di una vicenda nella quale si aggirano un’azienda italiana, un promotore indiano, programmatori israeliani e chissà chi altro.
Una certezza, perché acclarata dalle dichiarazioni di tante parti in gioco, è che Cristian Provvisionato, formalmente incriminato dalle autorità mauritane per “attentato alla sicurezza dello stato”, è rimasto intrappolato in una situazione di cui era ignaro. Un’altra certezza è che il mercato dei sistemi informatici di sorveglianza è diventato sempre più strategico: con quei software si può “tracciare” ogni minaccia di sicurezza ma si possono controllare tutte le forme di dissenso. Come in Egitto. In Mauritania, per esempio, si possono tenere d’occhio le comunicazioni tra gli attivisti del movimento contro la schiavitù.
Nulla di nuovo, in quanto già rivelato da Edward Snowden, ma qui siamo di fronte ad aziende private che forniscono servizi ai governi. Con quali autorizzazioni? Con quale cognizione di causa da chi li autorizza?
Cristian Provvisionato è un ostaggio. Per rilasciarlo la Mauritania chiede qualcosa: ha ricevuto un prodotto “fallato” o “incompleto”? Non si sa. Non si sa neanche perchè l’Italia tenga un profilo così basso su questa vicenda. Magari attraverso Articolo 21 riusciremo a scoprirlo.