A Napoli c’è un vecchio signore che, a 17 anni, con tutta la sua famiglia lasciò l’Argentina e andò in Spagna a difendere la democrazia. Era l’agosto del 1936, neppure un mese dopo il colpo di stato del generale Franco contro la Repubblica spagnola. Oggi, a 80 anni da quel tragico evento che resta macchia di ignominia per l’umanità tutta, quel signore ha 97 anni e mercoledì 21 dicembre riceverà dalle mani del sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, la Medaglia della Città: è l’ultimo combattente volontario repubblicano italiano della Guerra Civile spagnola ancora in vita.
Si chiama Aurelio Grossi. Il padre, Carmine Cesare Grossi, avvocato socialista napoletano, amico di Giacomo Matteotti, dieci anni prima, costretto all’esilio a Buenos Aires dopo l’assassinio dell’antifascista italiano, raggiunse la Spagna e mise sé stesso e tutta la sua famiglia a disposizione della Repubblica: la moglie, Maria Olandese, s’impegnò nell’assistenza ai feriti fondando il Piava (Patronato italiano d’aiuto alle vittime antifasciste). Aurelio e il fratello Renato entrarono nell’esercito popolare come radiotelegrafisti e furono entrambi feriti gravemente in prima linea.
La figlia Ada fu invece la voce che, dai microfoni di “Radio Libertà”, emittente clandestina fondata e diretta dal padre nel 1944, e che fu definita “la voce del popolo”, raccontò dalla capitale catalana la guerra di Spagna all’Italia fascista. Prima ancora, fu attraverso “Union Radio Barcelona” e “Radio Spagna Libera” che Ada diffondeva nell’etere i comunicati antifascisti, in contrapposizione ai messaggi della propaganda falangista.
Dopo la fine della guerra, la donna non entrò in politica, come fecero molti suoi compagni. Ma ci sono storici che, forti delle testimonianze di alcuni padri fondatori come Umberto Terracini e Ferruccio Parri, sostengono che fu proprio Ada Grossi a redigere l’Articolo 21 della Costituzione italiana.
Durante i primi Anni Duemila, Rosa Russo Iervolino sindaco di Napoli conferì alla donna la stessa onorificenza che ora tocca al fratello. Ada è morta nell’estate del 2015 a 98 anni. Dopo la sconfitta repubblicana, a tutti i membri della famiglia Grossi toccò una sorte fatta di sofferenze e di umiliazioni, dalla reclusione al confino, all’estero e in patria, fino all’emarginazione vissuta con dignità in un vero e proprio dimenticatoio. Soltanto pochi anni or sono, la loro vicenda è stata riportata agli onori della storia, grazie soprattutto all’impegno dello studioso Giuseppe Aragno, di una loro nipote,Sylvia Guzman Grossi, di Pasquale D’Aiello e Mauro Manna, autori del documentario “I primi saranno gli ultimi”, patrocinato e co-prodotto dall’Aicvas (Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna), in uscita nel 2017.
L’onorificienza che sta per essere attribuita dal primo cittadino partenopeo all’ultimo combattente volontario di Spagna italiano vivente, seppur tardiva, ha un valore simbolico e politico di grandissimo rilievo, anche perché testimonia – con buona pace de “il Giornale” che, il 30 giugno 2015 ha titolato: “La Pinotti piange miseria ma dà ancora soldi ai reduci garibaldini” – delle difficoltà che impediscono alle Istituzioni centrali italiane di riconoscere i meriti ai combattenti volontari antifranchisti, difficoltà che sono palesemente il frutto delle ragioni storiche che hanno visto il nostro Paese schierato contro la Repubblica spagnola. Atteggiamento, questo, che ha indotto più volte la Spagna di oggi a chiedere le scuse del governo italiano. Come nel caso del colonnello pilota Luigi Gnecchi. Che se non è un caso è un caso davvero emblematico.
Nel marzo del 2014, il sito del ministero della Difesa italiano annuncia il centesimo compleanno di Gnecchi, medaglia d’argento della campagna spagnola, con tanto di felicitazioni del capo di Stato maggiore dell’Aeronautica e della ministra, Roberta Pinotti (Pd). Ufficiale della Regia aeronautica militare italiana, Gnecchi si era guadagnato il riconoscimento al valore militare come capo formazione di una squadriglia di caccia bombardieri Fiat Br 20. Secondo documenti dell’epoca, gli aerei inviati da Mussolini in aiuto a Franco avrebbero colpito 143 centri abitati, causando almeno 4.736 morti fra la popolazione civile, uomini, donne, bambini.
Oggi inorridiamo di quanto avviene in Siria: quella ne fu una delle tante anticipazioni.
“… dimenticare il franchismo significa dimenticare l’antifranchismo, lo sforzo culturale etico più generoso, malinconico ed eroico in cui resistettero manciate di donne e di uomini …” (Manuel Vàzquez Montalbàn, “Io Franco”, pag. 962, Sellerio Editore Palermo).